lunedì 23 settembre 2013

Callegari e il libro sacro dei Maya "Popol Vuh"

Enrico Vincenzi scrive, il 23/01/2006 su "lescienzewebnews.it":

Nel 1841 un’opera in"titolata "Incidents of Travel in Central America" divenne inopinatamente un best-seller, e portò al successo il suo autore, un giovane avvocato di New York di nome John Lloyd Stephens. […]Nell’inverno del 1839, insieme all’artista inglese Fredrick Catherwood, arrivò in una radura della folta foresta tropicale e scorse l’antica città Maya di Copàn. La vegetazione nascondeva gran parte degli edifici e rendeva indistinguibili quelli ancora fagocitati dalla giungla. Ma Stephens comprese subito di trovarsi di fronte alla capitale di un impero. Prima emersero degli immensi blocchi di pietra ed una rampa di scale che conduceva ad una terrazza. Subito dopo, una statua dal volto inespressivo con gli occhi chiusi, un totem gigantesco, alto più del doppio di un uomo e, ancora, decorazioni così magnificamente intarsiate da ricordare le statue di Buddha dell’India. […]
Il libro di Stephens e le illustrazioni di Catherwood, ispirarono un abate francese, Charles Etienne Brasseur de Bourbourg, che si volle recare di persona ad ammirare quei luoghi favolosi. In Guatemala trovò il testo sacro degli indios Quichè intitolato "Popol Vuh", che tradusse in francese e diede alle stampe nel 1864. Si tratta dell’unico testo sacro Maya giunto sino a noi, e seppure in termini ermetici, spalanca scenari non immaginati. Proprio come i testi degli gnostici medio-orientali, il "Popol Vuh", che i Maya chiamavano "la luce che venne dal lato del mare", parla di una lontanissima età dell’oro, e si dilunga nel racconto dei "Primi Uomini" che abitavano quel tempo:
"Dotati di intelligenza, vedevano e potevano vedere istantaneamente lontano; riuscivano a vedere, riuscivano a sapere tutto ciò che c’è nel mondo."

Pittura Maya raffigurante
la creazione del mondo
In alcune interviste Callegari afferma che "sta traducendo il libro del Popol Vuh", il poema e "libro sacro dei Quichè" scritto nel XVI secolo e scoperto in una biblioteca del Guatemala alla metà del XIX secolo, pubblicato integralmente e con apparato critico negli anni Venti dal Villacorta: l’interesse si concentra sui riferimenti cosmogonici e teogonici alla base della leggenda di Hurakan "cuore del cielo e della terra", dell’"Arcano del Diluvio", dell’"Aurora meravigliosa", dell’apparizione del Sole e del culto degli astri da cui nasce l’uomo americano... i "templi e le divinità Maya non sono che compromessi del tutto transitori tra la violenza implacabile della selva e la dolcezza brulicante degli astri", chiosa il professore nell’intervista (1)(2)(3)(4).
Nel fondo inedito della Biblioteca Civica di Verona sono i documenti che manifestano la puntigliosa curiosità verso questi argomenti: in una cartella intitolata "Popol-Vuh preceduto da uno studio introduttivo" sono numerosi dattiloscritti sul "Libro nazionale del Popol Vuh... questo importante primo documento storico, letterario, religioso del popolo Maya-Quichè", insieme ad altri, chiosati da appunti e glosse in penna, numerati, divisi in capitoli, spesso annotati in margine da correzioni (i riferimenti portano ad intendere che si tratti della trascrizione in italiano del testo del Villacorta); vi sono anche manoscritti, come la tavola del "calendario siderale Quichè"; un quaderno che contiene estremi bibliografici ("Bibliografia del Popol Vuh"), un elenco di divinità amerinde inserite in uno schema comparativo con le scadenze temporali del calendario (5) ed altro.
Il capillare lavoro di raccolta documentaria non darà luogo ad originali pubblicazioni, ma resterà a testimonianza del percorso intellettuale di uno studioso di provincia affascinato dai misteri cosmogonici, dalla loro rappresentazione estetica in forme atipiche e singolari, dall’analisi dei fenomeni "celesti" come terreno di esplorazione del mistero dell’Essere.

(1) GIOVANNETTI E., La Bibbia dei Maya, Giornale d’Italia, 18/5/1939
(2) FIUMI L., Una nobile figura di scienziato italiano, L’Ambrosiano, 21/8/1941
(3) PROCACCIO A., Lo scienziato veronese che viaggiò le terre inesplorate alla ricerca delle più antiche civiltà, Il Gazzettino, 19/1/1942
(4) VILLACORTA A. C. J.  e RODAS F., Manuscrito de Chichicastenango (Popol Buj), Città del Guatemala 1927.
(5) Bib. Civ. Verona, Fondo Call. In, cartella, Popol - Vuh preceduto da uno studio introduttivo, senza data, contiene: 125 dattiloscritti; manoscritto, dall’ed. Villacorta Roda Popol Vuh tradotto da G. V. Callegari; 116 dattiloscritti, Il Popol Vuh sua trascendenza e sua chiave; 28 dattiloscritti, I Quichè; una tavola, calendario siderale Quichè; quaderno di appunti manoscritti, Bibliografia del Popol Vuh;  manoscritti, un elenco di divinità inserite in uno schema comparativo.

martedì 10 settembre 2013

Il fondo inedito della Biblioteca Civica di Verona

In un convegno americanistico del 1992 il prof, Franco Venturi, appassionato e compianto cultore delle antiche civiltà amerinde, ricordava: “Parte della ricca biblioteca di Callegari è finita al Pigorini di Roma (Museo di Etnologia ed Antropologia, nda), i pezzi raccolti nei suoi viaggi giacciono forse polverosi in imprecisati magazzini dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona... l’attuale Presidente dell’Accademia mi ha confermato la probabile perdita; la sua immensa collezione fotografica, completamente perduta, è in parte ricordata nelle decine di articoli...”. Nel 1998 presso la Biblioteca Civica di Verona è stata ritrovata una parte di quei documenti che Venturi temeva irrimediabilmente perduti, un corpo di fonti estremamente vario ed eterogeneo, composto di testi scritti e di materiale iconografico ed illustrativo. La scoperta è particolarmente sorprendente: Callegari annotava nel 1946 che il bombardamento della sua abitazione veronese aveva causato “grave danno di ciò che conteneva, compreso un piccolo museo d’oggetti rari e curiosi fatto durante i miei viaggi”.

Il fondo consta di quaderni manoscritti di appunti per catalogazioni bibliografiche o per repertorio di fonti utilizzati nei suoi lavori a stampa per argomenti americanistici (ma non solo, ad esempio le ricerche su antichi viaggiatori e geografi del continente americano), l'elenco e la descrizione dei principali oggetti d'arte antica americana presenti nelle principali collezioni museali italiane, copie di testi editi da Callegari e da altri (alcuni altrimenti introvabili oggi nei cataloghi delle principali Biblioteche), manoscritti o dattiloscritti di minute chiosate dei suoi saggi (comprese le relazioni enunciate nei Congressi americanistici internazionali), un epistolario con diverse personalità culturali del tempo (a cominciare dal fitto carteggio per realizzare la fondazione di un Centro di Studi Americani a Roma, per finire con la descrizione di alcuni monumenti dell'area archeologica di Chi Chen Itzà nello Yucatan nelle lettere del più importante archeologo messicano del tempo Juan Palacio), una voluminosa e ricca collezione di articoli ritagliati che parlano di Callegari sulla stampa italiana e internazionale o di argomenti e studiosi a lui legati, dal 1905 al 1951, le pubblicazioni ufficiali dei Congressi americanistici cui ha partecipato, gli articoli che ha scritto Callegari quando da giovane studioso ha collaborato con 'La provincia di Padova' e da appassionato e sempre più affermato americanista con diverse riviste nazionali. Riguardo il materiale illustrativo si tratta di una consistente serie di fotografie, lastre vitree di negativi, cartoline postali, stampe delle maggiori località archeologiche e coloniali del Messico collezionate durante due escursioni di studio negli anni Venti, nonché disegni a china prodotti dallo stesso Callegari, carte geografiche tematiche, che probabilmente egli adoperò come materiale didattico per le lezioni universitarie di Americanistica: la visione di quasi 800 scatti permette di avere una ricca documentazione visiva delle maggiori aree archeologiche di San Juan Teotihuacan, Campeche e Chi chen Itza, di Puebla e Oaxaca, delle bellezze naturalistiche della Sierra come le grotte di Cacahuimilpa e i vulcani Popocatepetl, i paesaggi dei cierri, di abbozzare lo studio etnografico sui costumi delle popolazioni indigene discendenti dalle civiltà amerinde, di addentrarci tra le strade e i monumenti delle principali città come Città del Messico o Vera Cruz, anche di valenza storica (i resti della casa in cui alloggiò Massimiliano d'Asburgo a Queretaro). Nel materiale manoscritto o a stampa si trova anche materiale del periodo universitario, la notazione manoscritta preparatoria per la traduzione del libro sacro dei Quichè-Maya mai edito.
Dal fondo Callegari: appunti sulla datazione e corrispondenza dei calendari


venerdì 6 settembre 2013

Il viaggio in Messico

Nel 1923 Guido Valeriano Callegari, appassionato cultore dell’arte antica mesoamericana, compie un lungo e articolato viaggio in Messico, nato come possibilità di escursione archeologica nei luoghi da lui descritti in precedenti pubblicazioni, ma che lo avvicinano tout court alla cultura e alla società messicana. Nella relazione scritta all’Accademia di agricoltura, scienze e lettere si definisce "appassionato studioso d’antichità precolombiane, studi che purtroppo nel nostro Paese non hanno trovato ancora nessuno o quasi, intelligente e laborioso cultore".
Nelle note critiche ricorda gli studi pubblicati dalla poderosa monografia sull’antico Messico pubblicata a Rovereto nel 1908 a seguito della partecipazione al Congresso americanistico internazionale di Vienna come rappresentante italiano assieme al delegato ufficiale, il professor Hiller Giglioli [1], alle frequenti conferenze sull’arte antica messicana che l’hanno portato a Firenze, Padova, Bologna, Trento e Milano, al premio nel 1916 dell’Académie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi a nome della Foundation de M. le Duc de Loubat per il complesso dei suoi lavori americanistici. 
Veduta aerea di Città del Messico
La spedizione in Messico nasce comunque quasi come un caso fortuito, un beneficio del destino: "la mia offerta di rappresentare anche a mie spese il mio Paese al successivo Congresso int. degli Americanisti a Messico nel 1910 non erano stati accolti dal Ministero... avevo quasi perduto la fiducia che un giorno mi si potesse offrire l’occasione di vedere e studiare in loco ciò che avevo studiato nei principali musei d’Italia e dell’Estero, tanto più che non potevo fare alcun assegnamento su aiuti da parte del nostro Governo"; ecco però subentrare "la magnifica generosità del Governo della Repubblica del Messico, dietro proposta del suo Console generale a Genova, Ing. Arturo Pani, a cui debbo tutta la mia gratitudine" per "realizzare il sogno più caro della mia giovinezza, concedendomi larghi mezzi per compiervi un lungo viaggio d’istruzione. Il mio soggiorno doveva durare tre mesi, ne’ quali mi proposi di visitare le rovine delle città e de’ santuari dei Nahoa e dei Maya, le principali tribù raccogliere materiale di studio, libri, carte geografiche, fotografie e suppellettile archeologica per il Museo Naz. d’antropologia di Firenze farmi un’idea positiva degli istituti d’istruzione scientifica superiore conoscere molti dotti messicani e stranieri con cui ero in relazione da anni tessere possibilmente rapporti intellettuali tra i due paesi"[2].
Attraverso il diario scritto per l’Accademia dell’agricoltura di Verona, i materiali cartacei e iconografici del fondo inedito Callegari presente nella Biblioteca Civica veronese, con questo lavoro intendo accompagnare il lettore nell’esplorazione del Messico post-zapatista, visto con gli occhi di un intellettuale di provincia, appassionato cultore di un’arte piuttosto marginale e singolare nel quadro culturale dell’Italia d’inizio secolo.

[1] Su Giglioli e il Congresso Americanistico di Vienna, vedi bollettino in ‘Archivio per l’antropologia e l’etnologia’, v. XXXVIII, fasc. 3, 1908; Enrico Hillyer Giglioli nasce a Londra il 13 giugno 1845, figlio di Vincenzo, medico e antropologo, mazziniano di fede politica; vince una borsa di studio nel 1861 per la Royal School of Mines a Londra, conosce Charles Darwin, e studia scienze naturali con Lyell, Owen, Huxley. Tornato in Italia nel 1864, si laurea in Scienze Naturali all'Università di Pisa (dove il padre ha la cattedra di Antropologia), e frequenta Filippo De Filippi, direttore del Museo Zoologico di Torino e primo sostenitore in Italia delle teorie darwiniane sull'evoluzione; lo segue in un viaggio di circumnavigazione del mondo, 1868, il primo di una corvetta italiana, la ‘Magenta’, per motivi scientifici e naturalistici. Collaboratore di Adolfo Targioni Tozzetti, ornitologo, costituisce la Collezione centrale dei Vertebrati italiani presso il Museo Zoologico La Specola, di cui è anche direttore; lavora fra l’Università di Torino e l’Istituto reale di studi superiori di Firenze. Per il Ministero dell’agricoltura realizza dal 1880 il catalogo dell’avifauna italiana. Raccoglie però anche una ricca collezione di oggetti etnografici del Nord America, che dal 1876 costituiscono la base del Museo preistorico Pigorini di Roma, unitamente al materiale iconografico sui nativi americani, e agli oggetti e rilevazioni naturalistiche compiuti nella Terra del Fuoco durente il viaggio della ‘Magenta’. La partecipazione al Congresso americanistico viennese costituisce un riconoscimento all’anziano etnografo e direttore di importanti musei scientifici italiani, morirà l’anno successivo.

[2] CALLEGARI G. V., La mia escursione archeologica al Messico, ‘Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura, scienze e letttere di Verona’, s. IV, vol. XXV, 1923, pp. 267-268; Joseph-Florimond de Loubat (1837-1921) è un ricco mecenate e bibliofilo, che nel 1912 ha contribuito a catalogare il corpus della collezione iscrizioni greche della Académie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi, soprattutto per quanto è importante alla nostra storia ha sovvenzionato le ricerche in Messico e Yucatan del grande archeologo Eduard Seler e ha comperato manoscritti e codici antichi messicani o testi a stampa storici del Messico per numerose biblioteche mondiali, comprese alcune italiane (ad. es. universitaria di Padova con la mediazione di Callegari, Vaticana, Nazionale d’antropologia di Firenze...).

Gli esordi

Guido Valeriano Callegari collabora come pubblicista e recensionista sul foglio culturale d’area veneta “La Provincia di Padova” dal 1900, mentre elabora la propria tesi di laurea in geografia antica sul viaggio di Pitea di Marsiglia; da studente nel Dipartimento di Lettere antiche presso l’ateneo patavino ha pubblicato nel 1897 un testo di riflessione filosofica sulla morte, analizzando e confutando comparativamente le posizioni nella filosofia greca antica [1].

Riprende questa tematica proprio nel primo articolo redatto per la rivista, recensendo un testo scientifico divulgativo apparso nella collana della “Piccola Biblioteca di Scienze Moderne”, edita dalla casa editrice torinese che ha ospitato gli scritti più importanti dello scienziato positivista e materialista Cesare Lombroso [2].

Illustrazione da "La fin du monde" di C. Flammarion
Callegari si sofferma in particolare sulla questione della metempsicosi “celeste”, teoria già degli antichi Egiziani e dei Pitagorici, espressa come “trasmigrazione astrale dell’anima terrestre verso i pianeti principali del nostro sistema solare: teoria antica rediviva, fatta gigante da accese fantasie, che ammessa la pluralità dei mondi, in questi vorrebbe collocare le anime, quando esse hanno abbandonato il loro terreno sviluppo”. Callegari guarda con distacco “positivista”, sostanzialmente con scetticismo a queste affermazioni, ma si intuisce nelle sue parole almeno l’intrigo della curiosità.

“Chi può discutere seriamente una concezione sì ardita? Ammessa pure la vita, in qualche pianeta affine alla nostra, perché l’anima terrestre dovrebbe aver d’uopo di perfezionarsi materializzandosi in un altr’astro? L’idea è poetica, grandiosa, affascinante quanto mai (l’illustre Flammarion l’ha fatta sua in due splendidi romanzi siderali “Urania e Stella”) giacché è meraviglioso immaginare tanti milioni di anime vaganti per l’infiniti spazi interplanetari in cerca del futuro loro soggiorno!... La splendida Venere è la stella, secondo l’autore, che si presterebbe per le supposte sue condizioni d’abitabilità, al nostro primo futuro soggiorno, e l’esistenza di Marte, di Venere e di Mercurio, secondo lui sarebbe spiegata per essere i futuri soggiorni dell’anime terrestre destinate in essi a perfezionarsi: l’esistenza degli astri sarebbe subordinata all’esistenza delle anime, mi si permetta, come in un luogo di cura”. [3]

[1] Biblioteca Civica di Verona (BCVr), Fondo Callegari (FC), B 1* manoscritti, “Pitea di Massilia. Contributo alla Storia dell’Astronomia e della Geografia”, rilegato e sottotitolato “Tesi di laurea alla Societè de Geographie de Marseille di Guido Valeriano Callegari, laureando in Lettere alla Regia Università di Padova, anno 1902”;“Della morte presso i Greci antichi”, sottotitolato “Note e appunti storico-filosofici per Guido Valeriano studente di filologia nella Regia Università di Padova”, Agosto 1897. 


[2] STRAFFORELLO G., Dopo la morte, “Piccola Biblioteca di Scienze Moderne”, n. 19, Fll. Bocca, Torino, 1900.

[3] CALLEGARI G. V., Dopo la morte, “La Provincia di Padova - parte scientifica” (d’ora in poi PRPD-S), 27/11/1900).