mercoledì 21 dicembre 2016

Un ricordo di Callegari nelle parole di Maria Cavazzuti

Pubblichiamo un toccante ricordo di Guido Valeriano Callegari, lasciatoci da Maria Cavazzuti,  ex-allieva del “corso d’antichità americane che ha già sette anni di feconda vita” [1], all'Università Cattolica di Milano, tenuto da Callegari stesso.
Questo testo proviene dal Fondo Maria Cavazzuti, presso la Biblioteca Isontina di Gorizia. Il fondo è gestito dal cugino dell'autrice Piero Simoneschi, che ringraziamo per aver concesso di pubblicare questo estratto (prima sul sito dell'Università Cattolica e poi su questo blog).
Dell'insegnamento e della chiusura del corso di libera docenza si parla nelle pubblicazioni del progetto e-book su Callegari, e particolarmente nel volume "Il carteggio Callegari-Gorgolini" (potete trovare un link su questa pagina).
Cogliamo l'occasione per augurarvi buone feste e comunicarvi che  il blog tornerà nei primi giorni dell'anno prossimo.

Gli idoleti di Callegari, un eroe omerico
Rivedo lo sparuto gruppetto che frequentava Antichità americane: con lui scoprimmo lʼaltro Antico. Con la sua inguaribile pronuncia veronese (mai una doppia), la sua barbettina cangiante oro-argento-rame vestito sempre poveramente, che simpatico ometto! Come un eroe omerico, lo ricordo sempre impugnante unʼasta lunghissima, quella con cui indicava sullo schermo le proiezioni. Aveva tradotto molte opere del Flammarion e candidamente ammirava lʼastronomo a cui la ricerca scientifica non aveva tolto la passione per lʼignoto, per le case infestate dagli spiriti, e che è stato il padre della fantascienza.
Callegari ci trattava da amici, interpellava in tedesco il nostro compagno bolzanese, mi faceva esercitare nello spagnolo che avevo incominciato a studiare alla meglio su unʼesile grammatica Sonzogno; quando nelle proiezioni appariva ai piedi di una piramide messicana un omino in casco e con la bisaccia a tracolla, dichiarava con imbarazzo: "Beh non badateci, quello lì, modestamente, sarei io".
Lui era stato laggiù, tra serpenti e indios, per le polverose vie fiancheggiate dalle agavi giganti, dove ancora suonava lʼeco degli zoccoli dei cavalieri di Pancho Villa e di Zapata. QuellʼAntico lì, si conciliava addirittura con i film di avventure.
"Nei musei di X, ci sono queste statuine, questi idoleti, che modestamente ho donato io..." ma quellʼavverbio che aveva sempre in bocca non suonava ipocrita né stupido: lui era quasi incredulo, inguaribilmente meravigliato dʼessere conosciuto assai più in là della sua Verona, membro di molte accademie illustri (ma la sua preferita era sempre quella degli Agiati di Rovereto), e giurerei che quando ve lʼavevano invitato e accolto si era presentato in giacchetta marrone, coi capelli sale e pepe leggermente scomposti come se allora si fosse tolto di capo il vetusto elmetto da esploratore, una spalla un poʼ alzata come se allora allora se la fosse liberata dal peso della bisaccia carica di idoleti.
Le sue lezioni così confidenziali, però, ci apparivano un mondo assolutamente nuovo, perché il Foro Romano, Virgilio, Annibale, almeno allʼingrosso li conoscevamo da prima, mentre la civiltà sopravvissuta ai massacri di Cortèz ci trovava devotamente analfabeti. E ambiziosamente, trionfanti, mettevamo adesso Quetzalcoatl accanto a Zeus.

Maria Cavazzuti


[1] Amante A., La verità sul centro italiano di studi americani (C. I. S. A. 1932-1937). Origini, sviluppi, affermazioni, Società anonima casa editrice nazionale (S. A. C. E. N.), Torino 1937