lunedì 14 aprile 2014

La situazione politico-religiosa del Messico, prima durante e dopo il viaggio di Callegari

Lo studioso veronese visita più volte il Museo Nacional situato in "un'ala dell'immenso Palacio Nacional". È interessato ovviamente dai reperti meravigliosi  appartenenti alle civiltà dei Nahoa e dei Maya disposti nelle dieci sale, ma anche dai "quadri e ricordi storici importantissimi dell'epoca coloniale" e dalla parte "dedicata alle memorie di Hidalgo, Morelos, Matamoros, Guerrero, e degli altri eroi-martiri dell'indipendenza, e di Juarez"; è "il sacrario della storia moderna messicana" osservato "con un senso di riverenza", a cominciare da "l'immagine della Virgen de la Guadalupe, che fu l'orifiamma della riscossa, su la spada di Matamoros", per ricordare "gli oggetti personali di Hidalgo e Guerrero" o "la maschera mortuaria di Juarez" [1]. Callegari guarda a Benito Juàrez come alla guida suprema del Messico verso la democrazia, le riforme, lo Stato moderno e repubblicano, che fonda idealmente nella composizione ideale delle culture storiche del territorio verso i podromi dell'aspirazione alla modernità. Laureato in legge, aderente al partito liberale, si batte a metà del XIX secolo per i diritti delle popolazioni rurali della Valle di Oaxaca, suo luogo di nascita, e nel 1855 come Ministro della Giustizia limita lo strapotere delle autorità ecclesiastiche (atto che culmina nella cacciata dell'Ordine gesuitico, analogamente ai governi costituzionali di matrice laico-liberale dell'Europa della Restaurazione). Forte propugnatore di una Costituzione di matrice liberale (costituisce su di essa un governo provvisorio a Veracruz ispirato a detti principi, a modello della Repubblica Romana mazziniana), cui s'oppongono duramente le forze conservatrici del paese, come la Chiesa e la grande proprietà latifondistica, lo "indio" Juàrez diviene nel 1868 Presidente del paese in eterno dissidio politico dopo l'esperienza della reggenza imperiale di Massimiliano d'Asburgo, frutto del gioco coloniale delle grandi potenze europee, e come primo atto congela il pagamento dei debiti esteri contratti dal regime massimilianeo; lo Stato liberale cancella inoltre la legislazione punitiva nei confronti delle comunità campesine indios, che avevano costretto i nativi alla vendita delle proprietà ai ricchi possidenti, generando ribellioni spesso abbattute nel sangue. Muore per infarto nel 1872, subito esaltato a simbolo nazionale indiscutibile della lotta per la libertà e per l'affrancamanto dalle potenze straniere.

Il monumento a Benito Juarez a Oaxaca
(dal Fondo Callegari)
È una sensibilità storica moderna e legata alle vicende del Messico d'inizio XX secolo quella che pone in stretta relazione indipendenza e liberalismo come filo rosso imprescindibile dell'evoluzione del paese dall'epoca napoleonica, dalla Costituzione di Cadice del 1810 e della crisi del sistema imperiale-coloniale ispanico: la rottura del vincolo con la monarchia spagnola "coloniale", l'affrancamento politico in un regime rappresentativo della sovranità popolare (uno Stato-Nazione dal 1821 con la dittatura del generale Augustìn de Iturbìde), l'ansia immaginaria di modernità ideale e pratica sempre contrastato da una società in buona parte tradizionalista ("controrivoluzionaria") nell'immaginario e nei comportamenti. Il patriziato urbano dirige e controlla le manifestazioni popolari, anche la repubblica degli "indios" si richiama per legittimarsi alla fedeltà al Re cattolico, alla difesa delle leggi e dei costumi, al vincolo reciproco del popolo e della religione. La proclamazione dell'indipendenza dal vincolo coloniale con la Spagna spinge le elitès a definirla in punta di diritto, retoricamente, come riconoscimento degli antichi possessori della terra messicana, gli indios, recupero di una libertà come rivincita dei vinti della Conquista. Una società di paesi, villaggi rurali, città, "puebli" dotati di propri organi di governo, con gradi di autonomia differenti a seconda della "dignità" riconosciuta ad essi, governa la sua grande eterogeneità etnica attraverso la coerenza culturale dela fedeltà al Re come signore naturale dei popoli "legittimi" attraverso il cattolicesimo, tratto distintivo e unificatore. L'affrancamento dai diritti di decima alla Chiesa (secondo uno slancio squisitamente liberale e illuministico) significa anche la compravendita delle terre dei campesinos, dei diritti comuni che regolano i villaggi, la proletarizzazione rurale celere e drammatica di un intero popolo. Ecco la matrice dell'intenso secolare programma di evangelizzazione e apporto di educazione primaria anche nelle zone più impervie e tra i "popoli" del Messico storicamente più gelosi delle proprie tradizioni. Gli eroi-martiri dell'indipendenza coloniale rivendicata ad inizio XIX secolo come Hidalgo spingono alla protesta popolare (facilmente sviluppatasi per la crisi economica e sociale) attraverso appelli tradizionali, l'azione nel nome legittimo del Re o la difesa della religione travolta dagli empi principi della Rivoluzione francese. Miguel Hidalgo y Castilla è sacerdote (di basso clero) come frate Bartolomè de las Casas, che promuove una evangelizzazione pacifica fino a costituire a Guadalajara un governo di "peones", nel nome del rispetto degli indios, come però del Re come suprema autorità. Il generale Josè Maria Morelos (che ne ha seguito l'esempio con gli indios della Sierra madre meridionale) nel 1812 per proclamare l'indipendenza dalla Spagna alza una bandiera celeste e bianca, i colori dell'ultima dinastia azteca, i Montezuma. Vi è disegnata un'aquila sul cactus, iconografia azteca, ma il motto che l'accompagna è in latino, e sul disegno del ponte a tre arcate sono racchiuse le iniziali della vergine Maria. Guerrero, che porta avanti la rivolta nel sudest del paese, proclama definitivamente l'indipendenza del Messico nel 1821 e la sua nuova Costituzione, entrando trionfale a Città del Messico; l'aristocrazia creola ha già soffocato tutti i moti popolari... Al padre dela patria Hidalgo negli anni in cui Callegari visita il Messico si inaugurano monumenti e lapidi, a gara tra le amministrazioni locali.
Vi è da dire anche che Callegari frequenta un paese scosso in quegli anni da contrasti forti e violenti tra Stato e Chiesa cattolica. La Chiesa era considerata dalle autorità politiche del "partito rivoluzionario istituzionale" come centro sovranazionale conservatore, ostacolo quindi alle riforme e ciò aveva sotto la presidenza di Porfirio Diaz nel 1914 leggi antiecclesiastiche. Negli anni '20 si tengono congressi sociali cattolici che organizzano iniziative in campo sociale (a Puebla, a Morella, a Guadalajara, e a Oaxaca, soprattutto la Sociedad de Obreros Católicos de la Sagrada Famiglia y Nuestra Señora de Guadalupe e l'Associación de los Operarios Guadalupanos, appoggiate da riviste come El Operaio guadalupano e Restauración e dall'attività del Partido Catòlico Nacional): ci si interessava dell'istruzione scolastica e dell'analfabetismo dilagante nelle campagne, della situazione dei lavoratori e del reddito familiare basso, dell'aiuto agli anziani bisognosi, della gestione dei luoghi di cura. Si suggeriva di istituire scuole serali per i lavoratori e l'esenzione delle tasse scolastiche per consentire alle famiglie disagiate l'accesso dei propri figli alla scuola. Per far fronte alla disoccupazione o al reddito modesto si prospettava, invece, di istituire cooperative di consumo e piccole proprietà terriere. Si chiedeva infine ai cattolici più ricchi di finanziare una parte delle spese per la gestione dei luoghi di cura.

Lo Stato, impegnato in una lunga e controversa elaborazione di riforma agraria che avrebbe mirato all'abolizione del latifondo anche ecclesiastico e alla formazione di una classe di piccola-media proprietà rurale in funzione della modernizzazione economica del paese, non prendeva in considerazione queste proposte (la tensione con la proprietà ecclesiastica è datata in realtà dalla fine del XIX secolo, al tempo delle riforme liberali di Porfirio Dìaz). Nel 1920 i generali Plutarco Elías Calles, Alvaro Obregón e Adolfo de la Huerta organizzano la "ribellione" di Agua Prieta e depongono il presidente Carranza, ucciso poi durante un tentativo di fuga nel piccolo villaggio di Tlaxcalantongo. Sino alla fine di quell'anno il Paese è retto da una giunta provvisoria guidata da De la Huerta. In seguito Alvaro Obregón prende le redini del Messico assumendo la presidenza.

Siamo all'inizio di una svolta decisa anticlericale quando Callegari visita il Messico. Nel 1924 il Paese passerà sotto la guida del generale Plutarco Elías Calles: il nuovo presidente ordina a tutti i governatori degli Stati federali messicani di emanare decreti volti a far applicare il dettato costituzionale in materia di disciplina religiosa. Molti governatori mettono subito in pratica le raccomandazioni presidenziali. Nello Stato del Tabasco, ad esempio, il governatore Tomás Garrido Canabal promulgherà una legge in cui si richiede per l'esercizio del ministero sacerdotale di una serie di requisiti: essere tabascheno di nascita, avere più di 40 anni, aver studiato in scuole statali, non aver subito procedimenti giudiziari, essere sposato. Nel 1926 un'ordinanza presidenziale punirà con un ammenda e con la prigione chi facesse suonare le campane, chi distribuisse o conservasse santini religiosi, chi indossasse medagliette con figure sacre!
Callegari conosce e prende in considerazione nelle sue analisi culturali e politiche sul pese latinoamericano un mito religioso popolare diffuso e sentito: all'origine dell'identità culturale e nazionale del Messico c'è la Fede, materializzata nell'apparizione della Vergine di Gudadalupe (divenuta poi Patrona del Messico e delle Americhe). All'alba del 9 dicembre del 1531, sulla collina di Tepeyac (presso Città di Messico), una Madonna di pelle scura apparve ad un indio, Juan Diego di Cuauhtlatóhuac, parlando il nuáhatl, il dialetto della regione. Questo evento, soprattutto l'uso di una lingua diversa da quella dei popoli dominatori, ma anche il colore "meticcio" della pelle della Madonna (o il segno sulla tilma, il mantello, della benedizione divina ai popoli del Terzo Mondo, le piume che lo ornano, la cintura viola simbolo per gli aztechi di donna gravida), divennero motivo per credere che Dio stesse dalla parte degli indios. La Madonna era venuta per dar fede al Nuovo Mondo. Gli spagnoli non erano giunti per caso, ma diventavano semplici strumenti della volontà divina.
San Juan Diego di Cuauhtlòuhac (immagine tratta
dal Blog Hagiopedia di Cristina Huete Garcia)

Cuauhtlatóhuac, nato a Cuauhtitlán, piccolo villaggio pochi chilometri a nord di Tenochtitlán nel 1474, è un macehual, un piccolo coltivatore diretto, un uomo modesto nella società azteca complessa e fortemente gerarchizzata. Nel 1524, all'età di cinquant'anni, viene battezzato con il nome di Juan Diego, insieme con la moglie Malintzin, che prende a sua volta il nome di María Lucía. Rimasto vedovo quattro anni più tardi, divide il suo tempo fra il lavoro dei campi e le pratiche della religione cristiana, fra cui l'ascolto della catechesi impartita agli indigeni neoconvertiti dai missionari spagnoli. La Vergine di Guadalupe era venuta anche per rimproverare i metodi d'alcuni dominatori europei, per questo si negò loro e apparve ad un semplice contadino indio. Le apparizioni furono cinque ed ebbero luogo fra il 9 e il 12 dicembre del 1531; Juan non fu creduto, in primis dal vescovo che inviò servitori in incognito a garantire sull'autenticità della confessione. Fu nella quinta apparizione che, con ogni probabilità, la Signora si presentò come La sempre Vergine santa Maria Coatlaxopeuh (la pronuncia in nuáhatl è "quatlasupe"), che foneticamente nella lingua spagnola si avvicina a "Guadalupe". Il significato di Coatlaxopeuh è "Colei che calpesta il serpente". Nella figura impressa sulla tilma di Juan Diego, si vede infatti la Madonna che calpesta un serpente. Gli spagnoli cercarono subito di appropriarsi dell'evento, per questo dedicarono l'apparizione alla Guadalupe dell'Estremadura, una Vergine adorata anche dal conquistatore Hernán Cortés. I due documenti in lingua náhuatl del secolo XVI che ci riferiscono dell'apparizione (l'Inin huey tlamahuizoltzin, "Questa è la gran meraviglia", del 1545, e il Nican mopohua, "Qui si racconta", del 1555) sono attribuiti al sacerdote spagnolo Juan González, interprete del primo vescovo di Città di Messico, e al nobile azteco Antonio Valeriano, allievo del collegio francescano di Santa Cruz di Tlatelolco: "subito sul mantello si disegnò e si manifestò alla vista di tutti l'amata Immagine della perfetta Vergine Santa Maria, Madre di Dio, nella forma e figura in cui la vediamo oggi... così come è conservata nella sua amata casa, nel tempio eretto ai piedi del Tepeyac e che invochiamo con il titolo di Guadalupe". Nel Nican moctepana, "Qui si riferiscono", scritto agli inizi del secolo XVII dal nobile messicano Fernando de Alva Ixtlilxóchitl, discendente dei re di Texcoco e dei signori di Teotihuacán, si narrano i miracoli compiuti su intercessione della Virgen, cui ben presto la cappella votiva aveva lasciato spazio all'edificazione di una cattedrale. In processione la sacra immagine era trasportata su una ricchissima portantina adornata di piume e sormontata da un baldacchino, dietro alla quale venivano il vescovo con tutto il clero, la nobiltà spagnola e azteca e un'incredibile folla di fedeli. Il popolo intonava canti, spagnoli e náhuatl, in onore della Vergine, dirigendosi verso le alture di Tepeyac. Sulle acque del lago, a bordo di canoe, gruppi di danzatori indigeni vestiti da guerrieri esternavano la loro gioia mimando scene di battaglia con archi e frecce. La collina del Tepeyac era stata, in epoca precolombiana, sede di un tempio di Tonantzín, una dea azteca il cui nome significa "nostra venerata madre", tempio distrutto durante la conquista. Dopo le apparizioni della Madonna di Guadalupe e l'edificazione dell'ermita, il luogo è definitivamente consacrato al culto cristiano della Vergine Maria; ma gli indios la chiameranno ancora Tonantzín, prendendo spunto dai Predicatori che chiamano col nome di Tonantzín Nostra Signora, la Madre di Dio. Nel secolo XVII, all'inizio del processo di istituzione del culto presso la Santa Sede, le testimonianze rilevate dall'Uffizio sono di sette indios e un meticcio; la Chiesa guarda con favore alla devozione, nella gran parte degli ordini religiosi, la asseconda, nel 1667 Clemente IX istituisce la festa della Virgen de Guadalupe e sancisce lo sviluppo del culto oltre il livello locale. Nel 1736 la Nuova Spagna è devastata da un'epidemia di matlazahuatl - così gli indios chiamano la febbre tifoidea - che in diciotto mesi provoca più di due milioni di morti. L'arcivescovo di Città di Messico ordina la traslazione dell'immagine dal santuario alla cattedrale, e l'epidemia si attenua secondo la leggenda; nel 1737, quando avviene la solenne proclamazione della Vergine Maria, sotto il titolo di Guadalupe, patrona principale di Città di Messico, cessa. Nel 1887 Papa Leone XIII autorizza l'incoronazione dell'immagine di Guadalupe, celebrata nel 1895, nel corso di una fastosissima cerimonia, dall'arcivescovo di Città di Messico, mons. Próspero María Alarcón y de la Barquera.
L'apparizione ebbe una grande importanza dal punto di vista sincretistico; essa divenne nei secoli alimentata dal culto popolare la più viva rappresentazione dell'identità religiosa della Nazione messicana che stava nascendo dalla fusione di due grandi civiltà, quella spagnola e quella azteca. Tant'è vero che nel 1810, gli slogan "Viva la Vergine di Guadalupe" o "Viva la Morenita" furono gridati dai rivoluzionari messicani della regione di Guanajauto, che, guidati dal parroco di Dolores – don Miguel Hidalgo y Costilla – si opposero ai dominatori europei: Hidalgo proclama la fine delle diseguaglianze etniche, la distribuzione della terra agli indios nativi, l'indipendenza politica dalla Spagna. I dominatori messicani del XIX secolo confermano a più riprese l'istituzione di un Ordine cavalleresco della Guadalupe e della festa popolare religiosa "nazionale" della Virgen, Massimiliano d'Asburgo omaggia l'immagine con la moglie Carlotta. È nel 1917, dopo le traversie della rivoluzione zapatista, la nuova Costituzione anticlericale, che il culto viene a costituire un intralcio alla modernizzazione del paese: nel 1921 una bomba nascosta fra i fiori ai piedi dell'immagine danneggia la basilica, ma lascia intatta la Virgen; l'attentatore scoperto è lasciato inpunito dal presidente municipale, la folla si riversa a calebrare ringraziamenti, dal governo qualcuno insinua nel tragico fatto un complotto cattolico; gli anni del viaggio di Callegari sono il preludio allo scontro tra i campesinos di fede e i soldati del presidente Calles che vuole piegare alla Chiesa ad un concordato fortemente laicista e guarda con sospetto la devozione mariana... Molte immagini della Virgen rimangono nel repertorio iconografico che Callegari ha lasciato alla Biblioteca Civica di Verona [2].

[1] CALLEGARI G. V., La mia escursione...  cit., p. 271; siti consultati: www.gesuiti.it/popoli/anno2003/11/ar031102.htm
www.rbvex.it/ameripag/messico.html
FIC, BCVR, Cartella C1, facciata delPalacio Nacional (nel retro annotato “è stato recentemente costruito”), entrada de Palacio Nacional con la storica campana.
[2] FIC, BCVR, Cartella C1, 15 cartoline postali e 5 stampe del santuario dellaVirgen de Guadalupe, la catedral, el palacio de ceistord; interno,  la facciata della Chiesa, veduta d’essa dal basso, l’altare all’interno della cattedrale, il colonnato della navata, fedeli di spalle in processione, la canonica con “Guadalupana de Hidalgo y pila en que fue bautizado” con ex-voto e santini della Virgen; stampa di una madonna disegnata in un dipinto di fattura contemporanea, attorniata da ex voto in seconda stampa, attorniata di votivi in una terza (Guadalupe? Nel retro “T. C. I. Cart. n. 5009”), El Pocito de la Virgen de Guadalupe (nel retro “T. C. I. Cart. n. 5009”), facciata principale della cappella in stile coloniale, la Villa de Guadalupe, il Cerro (la processione); DANTE GUERRA G., La Madonna di Guadalupe: un caso di "inculturazione" miracolosa, ‘Cristianità’ n. 205-206, 1992; VANNONI G., Sulla "conquista" dell’America del sud, ivi n. 10, 1975; VELASQUEZ FELICIANO P., La aparición de Santa María de Guadalupe, Città di Messico 1981, pp. 146-161, 184-221, 299-312, 352-353; PERFETTI C., Guadalupe. La tilma della Morenita, Messico 1931; DE OLIVEIRA CORREA P., Tribalismo indígena, ideal comuno-misionário para o Brasil no século XXI, San Paolo 1977; CAMARGO R., La Madonna di Guadalupe, ‘Studi Cattolici’, a. XXVI, n. 254-255, aprile-maggio 1982, pp. 262-267; DA SAHAGUN B., Historia general de las cosas de la Nueva España, l. XI, cap. XII (sec. XVII); JUNCO A., El milagro de las rosas, Città di Messico 1969, pp. 14-16; MEYER J., La christiade. L’Église, l’État et le Peuple dans la Révolution Mexicaine (1926-1929), Parigi 1975.