martedì 22 novembre 2016

Le versioni del Popol Vuh

Abbiamo già parlato diffusamente del Popol Vuh, o libro della vita, del Quiché, una provincia dei Maya in America Centrale, prevalentemente nell'odierno Guatemala.
Questa testo dove si fondono mitologia, religione ed astrologia rappresenta il "cruccio" per eccellenza nella vita di Callegari: la sua traduzione in italiano avrebbe potuto dargli quella fama imperitura che non ha mai avuto.
Il Popol Vuh avrebbe dovuto essere bruciato, come stabilito dalla furia iconoclasta dei governi europei ai tempi del conquistadores, ma un sacerdote - padre Francisco Ximenes - lo ha invece tradotto in castigliano, disobbedendo agli ordini, e lo ha nascosto. Il testo è stato ritrovato solo un secolo e mezzo più tardi, nel 1850 circa, ed è stato tradotto in inglese (Scherzer) e francese (Brasseur de Bourborg). Ximenes o chi per lui, però, aveva commesso molti errori nella traduzione, oltre ad aggiungere alcune parti sugli allora in carica governatori spagnoli.
Le ricerche per una versione originale intonsa sono subito iniziate, e nel 1926 tre professori dell'Università di Parigi -  Raynaud, de Mendoza e Asturias -  hanno dato alle stampe una prima versione pienamente "convincente" del testo. Ma è solo nel 1947 che Adrian Recinos completa la prima traduzione in spagnolo moderno dell'opera, che da quel momento è stata presa come punto di partenza da quasi tutti coloro che l'hanno tradotta in tutte le lingue, italiano compreso. [1]
In questo lasso di tempo, Callegari tenta inutilmente di far pubblicare la sua traduzione. Essendo questa rimasta inedita, solo le lettere lasciate da Callegari ci dicono che era completa anche prima che Recinos iniziasse il suo lavoro (1941). Infatti, egli vuole partire dal "Manuscrito di Chichicastenango", edito anch'esso in Guatemala ma nel 1927, da J. A. Villacorta e N. F. Rodas (Callegari sembra scrivere di un "Rojas", in realtà uno studioso posteriore; ma la grafia è di difficile comprensione). Tanto è vero che ottiene dallo stesso Villacorta un manoscritto con l'introduzione in spagnolo e l'autorizzazione a pubblicarlo come prefazione alla sua opera. [2]
Seguono una serie di dinieghi di Raffaele Pettazzoni, nel frattempo subentrato alla guida del C.I.S.A., e che più di una volta si offre di pubblicare solo un sunto dell'opera, mentre Callegari voleva una pubblicazione completa, come d'accordo con Villacorta.
Questo fa sì che lo studioso veronese tenti, nel 1943, una strada diversa, offrendo il suo lavoro alla casa editrice "G. Caribba", di Lanciano in Abruzzo. L'accordo salta, e Callegari, grazie all'aiuto della studentessa Gina Zambon (o Zambron), tenta di nuovo senza successo la carta Pettazzoni. Infine, in una lettera del 1948, si parla di una "penultima" versione in tedesco di Schultze, mentre quella del 1927 è definita "terzultima". [3]
Nel frattempo è già arrivata la traduzione di Recinos - ma Callegari non sembra esserne a conoscenza - e le prime versioni in italiano deriveranno da quella, con buona pace del "nostro".


[1] El libro del consejo (Popol Vuh) (Traducción y notas de Georges Raynaud, J. M. González de Mendoza y Miguel Ángel Asturias),1926; Recinos, Adrián (1947). Popol Vuh: las antiguas historias del Quiché. México: Fondo de Cultura Económica.
[2] Lettera da Callegari a Pettazzoni del  7/51940, Biblioteca Croce di S. Giovanni in Persiceto, rif. 224311
[3] Lettera da Callegari a Pettazzoni del  22/2/1948, Biblioteca Croce di S. Giovanni in Persiceto, rif. 224326