giovedì 25 dicembre 2014

Callegari e Victor Hugo


Le suggestioni filosofico-metafisico-letterarie delle quali abbiamo già parlato, Callegari le collega alla passione letteraria per l’opera del grande romanziere francese Victor Hugo, morto in quegli anni. 
Per “La Provincia di Padova” scrive alcune scarne monografie divulgative, e nel 1909 pubblica la traduzione italiana del “Post Scriptum”, le pagine postume di riflessione filosofica. Il “monumento” del Romanticismo francese è assai meno lontano di ciò che si potrebbe pensare dall’astronomo “irrazionalista” Flammarion, oggi sappiamo che si sono frequentati a livello epistolare. Nel 1862 Hugo scrive a Flammarion dopo aver letto “La Pluralité des mondes habités” e loda senza riserve il lavoro dell’astronomo. Nel “Promontorium Somnii” racconta di una visione telescopica della Luna dall’osservatorio astronomico di Parigi: al deludente tuffo nell’oscurità apparentemente indistinta, man mano che la pupilla s’abitua succede il repentino folgorare della luce nel buio tracciato timidamente di segmenti rettilinei... Fili impercettibili e dilatati disegnano regioni, zone, la perdita di profondità e di senso della realtà trascina l’uomo nell’ignoto in cui potra
nno celarsi umanità mastodontiche, leviataniche, idre, un serpente di fuoco si disegna nell’oscurità e appare un cratere, colonne di fiamme sorreggono gli orli della voragine...  un ”Hamlet visible”. 
Victor Hugo
Hugo d’altronde ha condiviso con Flammarion anche la fervida curiosità verso la pratica dello spiritismo. Nel soggiorno d’esilio a Jersey il grande scrittore aveva coinvolto la famiglia intera nelle sedute dei tavolini ‘giranti’ e delle “scritture automatiche”, sotto l’influenza della malinconia per la scomparsa repentina della figlia e della convinzione di dar luogo nella sua mente ad intuizioni misteriose e premonitrici. Crede dunque alle trasmigrazioni dell’anima spirituale e alla sua immortalità, alla necessaria congiunzione della materia spaziale con lo spirito assoluto, alle possibilità che l’invisibile possa comunicare mescolando soprannaturale e natura, voci invisibili di esseri immateriali occupano la mente... La frequentazione quotidiana dell’occulto viene poi rielaborata in versi poetici, in particolare ne “Le Contemplazioni” [1]. 
Questo tessuto comune di riflessioni tra i due intellettuali francesi appare chiaramente evidenziato negli scritti di Callegari. Di Hugo afferma: “quale poeta ha elevato maggiormente l’anima alla contemplazione spirituale del cielo? Nel sentimento della vita al di là, trova il fenomeno psichico della presistenza atavica, la morte è una concezione ideale, che risente indubbiamente delle teorie spiritualistiche, una ricerca più esatta, più severa e più grande dell’Inconoscibile”. E ancora, traducendo le pagine postume dello scrittore francese: “in comunicazione con la parte invisibile della natura tempo e spazio sono fantasmi di vita: la legge dei globi è la morte, la legge dello spazio è l’eternità, tra i due mondi la trasformazione di ogni essere in vivente dello spazio, l’uomo è frontiera, nascere è entrare nel mondo visibile, morire entrare in quello invisibile... sopra ogni globo vi è un essere che trabocca, il punto d’unione con le altre sfere, alla morte l’uomo diventa siderale, le anime passano da una sfera all’altra accostandosi incessantemente a Dio, fiumi di pianeti, abitanti di mondi diversi... a tre sfere  apparteniamo: Umanità è Natura dentro il nostro organismo, Soprannaturalismo è Natura che sfugge ai nostri organi, Supernaturalismo è Natura troppo lontana; a intervalli scoppia una scoperta che da colpo di mina alle profondità della scienza... scienza e religione esprimono inconsapevolmente l’infinito, il bene e il male sono aperture all’infinito, la legge morale è il filo del labirinto” [2].
Proviamo dunque ad approfondire quali gusti letterari incuriosiscono il nostro giovane “positivista pentito” e scopriremo che attraverso la lettura delle recensioni di opere di narrativa il suo interesse per la scienza, almeno dal punto di vista divulgativo, non è poi così lontano dai suoi “modelli” letterari  e le suggestioni eccentriche si rincorrono. Per completare il quadro su Victor Hugo Callegari lo venera come “sublime” forgiatore di “figure splendide e tenebrose nei recessi dell’animo umano”, “grande idealista senza però essere mistico” e dunque teso a considerare spiritualisticamente la morte al “suono dell’arpa del dolore” come una rinascita verso un Dio che coincide con l’infinito; soprattutto egli ha cantato “le pallide nebulose, le misteriose comete, gli abitanti de’ mondi formanti tutti una sola famiglia”, e fu “scientifico benché immaginario”. Passione e interesse Callegari dimostra anche per l’opera in versi di Edgar Allan Poe, di cui sottolinea “l’inesauribile vis, le concezioni straordinarie piene d’ombre paurose e di luci sfolgoranti, di tristezze profonde, di gioie inenarrabili, di pianti d’angoscia”, in una ricerca spasmodica di “infelice” e “sublime”. E c’è spazio anche per autori locali come Maria Nono-Ignis: è la recensione di un racconto che parla dell’amore contrastato e languoroso, impossibile, tra una giovane pulzella e un professore; esso si svolge nell’incanto della montagna, un idillio soavissimo e spirituale segnato dal fato d’una malattia incurabile, “idee spirituali a bella posta scordate da’ molti de’ nostri maggiori scrittori, dimentichi che anche in questo secolo di positivismo la tradizione spiritualista continuerà ad essere la gloria dello spirito umano”, uno scritto “pieno di languore indefinito, rivolto estatico verso la pallida Luna, nella leggenda divinizzata da Schumann”, stimato da Antonio Fogazzaro, “uno de’ più cari e geniali letterati” [3].

[1] FLAMMARION N. C., Clair de Lune, Paris 1865, p. 291; HUGO V., Promontorium Somnii, Proses philosophiques de 1860-1865, Paris 1868; ID., Les Contemplations, Paris 1856; C. DUFRESNE, Victor Hugo, homme d’esprits, “Historia mensuel - Dossier: Les grands hommes et l’irrationnel”, n. 668, 2002;
[2] CALLEGARI G. V., V. Hugo: post scriptum della mia vita, “Bollettino di Filologia Moderna” a. X n. 1  Palermo 1909, pp. 19-22; ID., V. Hugo: Post scriptum della mia vita. Pagine postume, tradotto da G. V. Callegari, Roma 1909;
[3] CALLEGARI G. V., Victor Hugo (26/11/1802-22/5/1885), “La Provincia di Padova” 26/11/1902; ID., Note bibliografiche. E. A. Poe, Il libro de’ poemi, Roux Torino 1903, ivi 19-20/3/1903; ID., Maria Nono-Ignis, ivi 5-6/7/1904; 

lunedì 24 novembre 2014

Annuncio: arrivano i libri


Cari amici, quando abbiamo iniziato questo progetto, il nostro scopo era quello di far conoscere l'ormai quasi dimenticato Callegari, attraverso una serie di piccoli interventi "piluccati" qui e là.
Ma a forza di cercare notizie e di scorrere testi, abbiamo collezionato una quantità notevole di materiale,  e ci siamo accorti che questo rende necessaria una raccolta più completa ed organica di questa mole di dati.
Per cui, abbiamo deciso di raccogliere organicamente tutto in una serie di libri.
Grazie a Lulu, una delle più stimate case editrici online, abbiamo già pubblicato il primo volume dedicato al nostro personaggio, una sua bibliografia completa corredata di cenni blibiografici. La potete trovare qui:


Speriamo che il prezzo non sua troppo elevato. Se avremo successo, continueremo nel lavoro fino a completare una collezione di saggi.
Questo non significa la scomparsa di questo blog, o il suo "congelamento"; continueremo a pubblicare anche qui, naturalmente tempo permettendo (perché la nostra è un'attività realizzata comunque nei ritagli di tempo).
Un saluto a tutti, e a presto.

sabato 22 novembre 2014

Scienza astronomica e metempsicosi


È interessante il rapporto tra scienza e letteratura nella temperie culturale dell’Italia di fine Ottocento. Recenti studi hanno indagato sulla narrativa di sfondo scientifico, a cominciare dal suo intento divulgativo rispetto alle novità tecnologiche prima che esse avessero una consistente ricaduta nella vita quotidiana, nel contesto dell’ottimismo della Belle Époque [1] ; si è anche cercato così di utilizzare un approccio meno settor
iale per poter individuare una strada italiana alla “science fiction”, guardando ai feuilleton d’avventura come ai romanzi popolari, all’attività miscellanea dei periodici di divulgazione, alle suggestioni diffuse dalla letteratura di Verne o di Poe, intreccio di dati scientifici e visioni profetiche, di parascienza e di spericolate congetture spirituali (come la metampsichica o l’occultismo spiritistico) [2]. 
In questo contesto di ricerca incuriosisce il percorso giovanile di studi e pubblicazioni di Guido Valeriano Callegari, un intellettuale di provincia, che non fu scrittore ma provò a comporre e pubblicare brevi racconti, che dimostrò soprattutto viva passione per il mondo parascientifico fino ai limiti dell’esoterismo e continuò nel contempo ad aver fiducia nell’indagine positiva della scienza (assecondando nel suo provinciale ma non datato orizzonte lo spirito dei tempi post-positivistici, confusa ma continua tensione “oltre” la razionalità).
Una versione colorizzata de
"L'incisione su legno di Flamarrion",
un lavoro di un anonimo intagliatore
olandese che Camille Flammarion ha
recuperato e inserito in un suo libro
(tratta da Wikipedia ed. Francese)
Guido Valeriano Callegari collabora come pubblicista e recensionista sul foglio culturale d’area veneta “La Provincia di Padova” dal 1900, mentre elabora la propria tesi di laurea in geografia antica sul viaggio di Pitea di Massilia; da studente nel Dipartimento di Lettere antiche presso l’ateneo patavino ha pubblicato nel 1897 un testo di riflessione filosofica sulla morte, analizzando e confutando comparativamente le posizioni nella filosofia greca antica [3] .
Egli si inserisce propriamente nella riflessione erudita che mischia suggestioni scientifiche e letterarie, proprio nel primo articolo redatto per la rivista, recensendo un testo scientifico divulgativo apparso nella collana della “Piccola Biblioteca di Scienze Moderne”, edita dalla casa editrice torinese che ha ospitato gli scritti più importanti dello scienziato positivista e materialista Cesare Lombroso [4]. Callegari si sofferma in particolare sulla questione della metempsicosi “celeste”, teoria già degli antichi Egiziani e dei Pitagorici, espressa come “trasmigrazione astrale dell’anima terrestre verso i pianeti principali del nostro sistema solare: teoria antica rediviva, fatta gigante da accese fantasie, che ammessa la pluralità dei mondi, in questi vorrebbe collocare le anime, quando esse hanno abbandonato il loro terreno sviluppo”.
Callegari guarda con distacco “positivista”, sostanzialmente con scetticismo a queste affermazioni, ma si intuisce nelle sue parole almeno l’intrigo della curiosità: “chi può discutere seriamente una concezione sì ardita? Ammessa pure la vita, in qualche pianeta affine alla nostra, perché l’anima terrestre dovrebbe aver d’uopo di perfezionarsi materializzandosi in un altr’astro? L’idea è poetica, grandiosa, affascinante quanto mai (l’illustre Flammarion l’ha fatta sua in due splendidi romanzi siderali “Urania” e “Stella”) giacché è meraviglioso immaginare tanti milioni di anime vaganti per l’infiniti spazi interplanetari in cerca del futuro loro soggiorno!... La splendida Venere è la stella, secondo l’autore, che si presterebbe per le supposte sue condizioni d’abitabilità, al nostro primo futuro soggiorno, e l’esistenza di Marte, di Venere e di Mercurio, secondo lui sarebbe spiegata per essere i futuri soggiorni dell’anime terrestre destinate in essi a perfezionarsi: l’esistenza degli astri sarebbe subordinata all’esistenza delle anime, mi si permetta, come in un luogo di cura” [5].

[1] MOSKOWITZ S., Il futuro era già cominciato, Mondadori Milano 1990)
[2] VERSINS P., Encyclopédie de l’utopie, des voyages extraordinaires et de la science fiction, Paris 1972
A cura di G. DE TURRIS con la collaborazione di C. GALLO, Le aeronavi dei Savoia, Ed. Nord Milano 2001, pp. I - XXIII)
[3] (3. Biblioteca Civica di Verona (BCVr), Fondo Callegari (FC), B 1* manoscritti, “Pitea di Massilia. Contributo alla Storia dell’Astronomia e della Geografia”, rilegato e sottotitolato “Tesi di laurea alla Societè de Geographie de Marseille di Guido Valeriano Callegari, laureando in Lettere alla Regia Università di Padova, anno 1902”;“Della morte presso i Greci antichi”, sottotitolato “Note e appunti storico-filosofici per Guido Valeriano studente di filologia nella Regia Università di Padova”, Agosto 1897)
[4] STRAFFORELLO G., Dopo la morte, “Piccola Biblioteca di Scienze Moderne”, n. 19, Fll. Bocca, Torino, 1900)
[5] CALLEGARI G. V., Dopo la morte, “La Provincia di Padova - parte scientifica” , 27/11/1900)

martedì 28 ottobre 2014

La scoperta della tomba di Donaji


Nel 1927 il “professore” veronese compiva un ulteriore viaggio in Messico, incaricato da privati stranieri per raccogliere materiale archeologico e poter inlfine relazionare alla Società italiana per il progresso delle scienze sullo sviluppo più aggiornato dell’archeologia precolombiana, interessata da una sempre più stretta connessione interdisciplinare tra le tematiche etnologiche, antropologiche ed archeologiche; in tale occasione scoprì il sepolcro della principessa mixteca Donaji presso i templi di Cuilapan, nell’area archeologica di Oaxaca.

“La provincia di Padova” del 25/12/1927, intitola l'articolo principale; “La scoperta di un archeologo padovano al Messico”. Si tratta dell’informazione sulla scoperta della tomba della principessa Donaji fatta da Callegari - considerato ormai padovano d'adozione - nei pressi di Cuilapan-Oaxaca; il testo afferma “pubblichiamo per primi in Italia questa notizia”.

Donaji era una principessa Zapoteca convertitasi al Cristianesimo, ed era figlia del re Cosihuesa.
Questo re degli Zapotechi  era figlio di Zaachila III, e il suo nome significa "Creatore del Fulmine" . Cosihuesa difese l'Istmo di Tehuantepec contro gli Aztechi, alleando le sue truppe con quelle del Mixtechi. La battaglia che ha avuto luogo presso Guiengola si concluse in una tregua, e gli Aztechi diedero in moglie a Cosihuesa la principessa azteca Pelaxilla (chiamata Coyolicatzin a Nahuatl).La principessa avrebbe dovuto tradire gli Zapotechi e aprire le porte della città agli Aztechi; invece prese le parti del marito e della sua nuova gente.
Il figlio primogenito di questo matrimonio reale fu Cocijopii, che divenne il sovrano di Tehuantepec. Cosihuesa aveva quattro figli legittimi: due figli Zapotechi puri, Bitoopa e Natippa, la figlia Penopias, che fu stata fatta patrona di Tehuantepec dopo la sua morte per la sua pietà, e Donaji, che sposò un principe mixteco e divenne cristiana.

Fernardo Ramirez de Aguilar scrive un articolo su "El gran Diario de Mexico" nel 1927, con cinque illustrazioni che mostrano soggettive e dettagli delle rovine dei templi di Cuilapan e un ritratto di Callegari come mostrano le didascalie, l’articolo è posizionato al centro della prima pagina del giornale. 
Il professore veronese sta per lasciare il Messico dopo lungo soggiorno a Oaxaca, si dirige sul Puente de rio Atoyac e racconta in un’intervista, oltre alla visita favolosa a Monte Alban, la scoperta fortuita della tomba leggendaria della principessa legata alla difesa della fortezza di Monte Alban da parte del principe mixteco; quando Donaji rifiutò di salvarsi dall’assedio ormai vincente degli Zapotechi anche dopo la promessa di una via di fuga da parte dei suoi guerrieri, e così si rassegnò alla decapitazione e venne sepolta nel sepolcro dove fu battezzata. 
Ne da prova l’aquila scolpita sopra la pietra, scoperta da Callegari: una tomba posta ove scorre acqua.

Bibliografia 

“La scoperta di un archeologo padovano al Messico”, “La provincia di Padova” 25/12/1927, 
 “La Tumba de la princesa Donaji y del principe Tilontongo fue fotografiada per primiera vez por un Arqueologo Italiano”, “Universal. El gran diario de Mexico” 1/12/1927



Il tempio di Cuilapan; all'estrema sinistra la tomba di Donaji
Foto tratta da questo sito

Il sepolcro della principessa Donaji.
Foto tratta da questo sito

Fotografia dal Fondo Callegari

sabato 20 settembre 2014

Il Ferrocarril Mexicano e le ingegnose opere di Maltrata


Callegari, dopo essere sbarcato a Veracruz, si serve della ferrovia per raggiungere le prime tappe del suo lungo viaggio messicano. Nella cartella C5 del Fondo della Biblioteca Civica di Verona, nella relazione all'Accademia dell'agricoltura sul viaggio messicano, troviamo questa frase:

"Il Ferrocarril Mexicano in una quindicina di ore, mi portò, per i tre gradoni enormi oroclimatici […] alla Capitale […] 423 Km., inaugurata nel 1873, è una vera meraviglia e i panorami […] dalle alture […] di Maltrata […]  d’una grandiosità e imponenza […] dovuto all’ingegneria messicana […] una delle maggiori opere del genio umano."

L'idea del Ferrocarril Mexicano, la grande ferrovia del Sud del Messico che collega Veracruz con la capitale, risale addirittura al 1774. Nel tragitto, sono comprese molte aree commercialmente interessanti: miniere, terreni agricoli, anche siti industriali di piccole dimensioni. I privati si fanno avanti con finanziamenti, come il ricco proprietario di miniere José De La Borda che finiazia il ponte di Orizaba sul Rio Blanco; comunque, la maggior parte del denaro è pubblico, e arriva in parte rilevante dal Consulado de México.

Il primo tratto, Veracruz-Paso del Macho, è completato solo nel 1865, Sei anni più tardi si gunge a Fortin, e qui inizia l'opera più imponente, che servirà per varcare i Cumbres de Maltata, alti picchi vicini alla cità di Orizaba.

La fotografia che Callegari allega è impressionante: una ferrovia che sale lungo la fiancata di un monte, con una pendenza apparentemente impossibile da superare. Siamo presumibilmente in località Paso del Diablo.

Questa ed altre opere imponenti fanno aumentare a dismisura i costi, sia di costruzione sia di mantenimento. In tutto vi sono 10 viadotti, 55 ponti di ferro, 93 ponti di legno e ben 358 sottopassi di vario genere, per una linea ferroviaria che comprende il tratto principale Veracruz-Mexico, le due diramazioni per Puebla e Pachuca, e altri piccoli tratti secondari per miniere. Il risultato è che si risparmia su infrastrutture, carrozze e materiale rotabile, e iniziano gli incidenti, mentre i soldi, dopo la rivoluzione, scarseggiano.

Il governo messicano ingaggia valenti ingegneri, come Leocadio Camacho; sotto la sua spinta le locomotive diventano elettriche, e i pericolosi carri in legno vengono sostituiti con quelli di acciaio. Ciò però non impedisce il verificarsi di incidenti impressionanti, specialmente a Maltrata.

Si decide di prendere soldi dalla nazionalizzazone delle attività petrolifere. L'incaricato principale è Ismael Reyes Retana, un ricco esponente della borghesia post-asburgica, passato dalla parte dei rivoluzionari, e in particolare di Francisco Maduro. Reyes è un ingegnere, in prima persona si è occupato delle necessarie ricerche per conto degli investitori esteri negli anni '10, e dopo aver abbandonato il Messico a seguito dell'assasinio del presidente Venustiano Carranza (1920), vi rientra, richiamato con il ruolo di direttore del Dipartimento del Petrolio, un ente federale. Il fatto che la maggior parte dei profitti vadano allo stato, però, alimenta nei suoi confronti una campagna di disinformazione, finanziata dai poteri forti statunitensi. Quando il governo messicano cede e privatizza, nel 1928, Reyes viene messo all'angolo, e nel 1930 si dimette. Questo segna la fine del flusso di denaro, e di conseguenza anche dello sviluppo del Ferrocarril Mexicano.

Inizia una fase di decadenza sempre più marcata, che si conclude con la sospensione del servizio, fino a quando, nel 1984, viene privatizzato l'intero settore ferroviario. Negli anni '90, un programma di investimenti modifica completamente il tracciato, rendendolo molto meno spettacolare (una delle prime tratte a "sparire" è appunto quella che sale sul Pico de Orizaba), ma enormemente più sicuro e adeguato ai nuovi treni. Attualmente (fonte Wikipedia) la linea è gestita dalla società provata Ferrosur.

Bibliografia


"México en el Tiempo" #26 sep/oct 1998
http://www.banderilla.gob.mx
http://www.mexicodesconocido.com.mx/
Fondo Inedito Callegari, Biblioteca Civica di Verona
Callegari G. V., La mia escursione archeologica al Messico, in "Atti e Memorie dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere", s. IV, vol. XXV, 1923 - pagg. 269-270

Il tracciato originale del Ferrocarril Mexicano (immagine tratta da Wikipedia)
Pagina dell'opuscolo illustrativo della società delle ferrovie
(dal sito www.mexicomaxico.org)

El Paso del Diablo, dintorni di Maltrata

Dal Fondo Callegari, ingresso dei viaggiatori alla stazione di Maltrata




giovedì 14 agosto 2014

Mitla, la necropoli

Dopo Oaxaca, e prima della visita a Tula, città dei Toltechi, Callegari intraprende un avventuroso viaggio verso Mitla, città-cimitero degli Zapotechi, posta in un luogo decisamente poco agevole da raggiungere. Lo studioso scrive:

"Il 22 Aprile con l’Ing. Concha e un suo amico, mi recai a S. Pablo de Mitla in una Ford; la notte aveva piovuto assai e il viaggio fu pieno d’incidenti, anche umoristici […] affondata l’automobile nell’acqua e nel fango […] la dovemmo tirar fuori con l’aiuto di un paio di buoi […] imbizzarriti dal rumore del motore, spezzavano le corde […] dovemmo far scendere quattro o cinque zapoteki, che non parlavano spagnolo, nell’acqua, spingere le ruote […] noi attaccarci ai resti della corda e raccomandarci a Cacatzontli, il dio nahoa dei viaggiatori."

"Passammo per Santa Maria de Tula […] per Guelavia, Tlacolula giungemmo a Mitla […] oltre 40° all’ombra. Di Mictlàn si parla nel commento del Codex Telleriano-Remensis ma non vi è raffigurato, mentre lo è nel Codex Mendoza […] un tempio nella vallata, a 16 Km. da Oaxaca[…] Teotitlàn detto, un altro sulla vetta che prima bacia il sole, ai piedi […] una cittadina e una necropoli chiamate Tetipàc=sulla pietra e Queui-quije-çaa=palazzo sotto la pietra.
Le rovine […] in cattive condizioni, parzialmente restaurate, impongono per la grandiosità e lo squisito sentimento d’arte e rappresentano […] il monumento più importante del Nuovo Mondo. L’imponenza severa, solenne […] s’addensa il mistero […] nell’intelligente studioso un senso di tristezza non privo d’ammirazione. La desolazione ardente del paesaggio nudo, roccioso, bruciato penetra l’animo […] ricorrere con la mente ai tempi lontani […] fra quegli edifici s’agitava la folla dei copa-bitoo=guardiani d’idoli, dei ueza-éche=sacrificatori, dei pixana=dediti agli dei […] la suprema autorità del Uija-tào=gran veggente, specie di pontefice vicario di dio […] solo poteva entrare nella cella ov’erano gli idoli, portar loro offerte, incenso e sangue e cuore dei sacrificati e, in preda a convulsioni, entrare in comunicazione con gli dei e riportare ai fedeli i loro comandamenti […] padre de Burgoa afferma c’essi furono costruiti per il pontefice della nazione zapoteka come sua residenza[…] morto, gli dovette servire come tomba […] è giustificato dal nome Mictlàn=luogo dei morti o Lyo Baà=luogo di beatitudine".

"Gli edifici sotterranei […] avrebbero avuto la destinazione di tempietto, di sepolcro del gran sacerdote, di seplocro dei re zapoteki […] ultimo a sepoltura dei sacrificati e dei morti in guerre lontane. I palazzi avrebbero servito di dimora ai sacerdoti, ai re e al loro seguito. L’opinione di Burgoa non è priva di critiche […] il mistero che avvolge l’epoca […] non è ancora totalmente svelato […] certo non sono della stessa epoca".

"Le rovine si riducono effettivamente a quattro palazzi e a due piramidi; il primo di quelli si compone di 3 terrapieni oblunghi di pietre mescolate a terra; sopra essi vi sono edifici che formano un patio di 30 m. X 35; gli edifici laterali non sono meno grandi; ogni ala ha tre porte che danno sul patio cui si saliva per scalinate […] I tetti già in legno sono scomparsi […] sostenuti da colonne monolitiche di granito o di porfido, tuttora esistenti, alte 3.5 m. con 80 cm. di diametro. Uno dei palazzi porta all’interno pitture murali mitologiche che furono illustrate dal Seler. I mosaici di Mitla sono l’ornamento più notevole, formati di piccole pietre tagliate e pulite, incastrate con tale perizia che non vi fu d’uopo di calce e cemento per tenerle unite. Le cripte o sotterranei sono per lo più a croce latina […] le muraglie sono adorne di greche e pitture […] si spiega pensando che le cerimonie avranno avuto luogo al vacillante chiarore delle fiaccole".

"Non lontano da Mitla a circa 3 Km […] un’antica fortezza costruita dagli indiani di oltre 2 Km. con salienti e rientranti e muraglie doppie e porte costruite con tutti i dettami della castramentazione".

Callegari sposa qui le convinzioni del Dr. Leòn, che ritiene la fortezza non inferiore a quelle costruite in Europa nella stessa epoca.

Il nome Mitla è derivato dalla parola "Mictlan" del Nahuatl, che significa "il posto dei morti". Nella lingua dello Zapotecans, è chiamato "Lyobaa", che significa "il posto di sepoltura" o "di riposo". Il nome nella lingua dei costruttori originali (Zapotechi) è probabilmente da preferire, poiché le tombe dei re antichi sono realmente una parte integrante delle strutture all'interno della città.
La prova Archaeologica indica che il luogo è stato continuativamente abitato fin dal 900; ma ci sono prove di uno sviluppo avvenuto tra il 200 e il 900, conseguentemente con la vicina Monte Alban (500-800). Mitla ha avuto il più grande sviluppo più grande fra 750 e 1521, quando il dominio della zona è passato dagli Zapotechi ai Mixtechi.

Secondo padre De Burgoa, il gran sacerdote degli Zapatechi residente in Mitla poteva addirittura far piegare il re alle sue volontà; e l'intera struttura di Mitla ricalce quella di Monte Alban (decritta dall'esploratore Canseco), tesa ad affermare il dominio. Ma c'è anche una ricerca di lumminosità e di colore, con l'uso di pietra rosso brillante e la ricerca di spazi ampi ed illuminati.

Bibliografia




Panoramica del tempio di Mitla


Callegari - a destra - con un lavorante


Fotografia di Concha


Alcuna delle rovine esterne al tempio


domenica 29 giugno 2014

Enrico Hillyer Giglioli

Enrico Hillyer Giglioli
(immagine tratta dal sito del Museo Figorini)

Enrico Hillyer Giglioli nacque a Londra il 13 giugno 1845, primo dei 5 figli di Vincenzo Giglioli, medico e antropologo seguace di Mazzini ed esule dall'Italia per motivi politici, e di una nobildonna inglese della famiglia degli Hillyer. Tornata la famiglia in Italia dopo il 1848, il giovane Enrico frequentò il Collegio Nazionale e poi l'Istituto Tecnico di Pavia; a l6 anni vinse una borsa di studio che lo portò a frequentare, dal 1861 al 1863, la Royal School of Mines a Londra. Qui conobbe Charles Darwin, e studiò scienze naturali con Lyell, Owen, Huxley. Ritornato di nuovo in Italia nel 1864, si laureò in Scienze Naturali all'Università di Pisa (dove il padre deteneva la cattedra di Antropologia), e frequentò Filippo De Filippi, direttore del Museo Zoologico di Torino e primo sostenitore in Italia delle teorie darwiniane sull'evoluzione. Grazie a lui Giglioli nel 1864 diventò professore nell'Istituto Tecnico di Casale Monferrato, e, sempre grazie a De Filippi, venne ad essere indicato come candidato ideale per seguirlo in un viaggio di circumnavigazione del mondo che in quel periodo veniva progettato; fu quindi il naturalista della prima circumnavigazione del globo effettuata da una nave italiana, la corvetta Magenta (1865-1868). 
La traversata iniziò in ottobre 1865; il capitano di "Magenta" era Vittorio Arminjon (1830-1897). La spedizione ritornò nel 1868, dopo che De Filippi era deceduto di colera contratto durante una sosta a Hong Kong l'anno prima.

Enrico Hillyer Giglioli fu pure collaboratore di Adolfo Targioni Tozzetti, uno dei massimi studiosi italiani di ornitologia, e costituì la Collezione centrale dei Vertebrati italiani presso il Museo Zoologico La Specola, di cui fu anche direttore. 
Venne nominato professore presso l'Università di Torino, nonché responsabile per la classificazione delle raccolte durante questo viaggio nella collezione zoologica. Nel 1869 divenne professore di zoologia e anatomia comparata del Istituto di Studi Superiori di Firenze. Nel 1870 pubblicò "Note intorno alla distribuzione della Fauna Vertebrata nell' oceano prese durante un viaggio intorno al Globo".
Nel 1876 fondò la Collezione Centrale dei Vertebrati Italiani, che oggi porta il suo nome.
Giglioli, provetto fotografo, oltre che studioso dei vertebrati, fu anche ornitologo ed antropologo. Durante il suo viaggio con la "Magenta" raccolse una sterminata quantità di oggetti; li catalogò, aggiungendo una raccolta fotografica ed una completa bibliografia, e ne ricavò una delle maggiori collezioni della storia.
Dopo la sua morte, avvenuta improvvisamente nel 1909, la collezione entra a far parte del Museo Nazionale Preistorico-Etnografico di Roma, fondato da Luigi Pigorini.

Di lui callegari scrisse: "Nel 1908 avevo rappresentato l’Italia al Congresso int. degli americanisti a Vienna, essendo stato nominato a far parte dal Presidium di detto congresso. V’era con me a rappresentante ufficiale del Ministero P. I. italiano, il compianto amico... prof. Hiller Giglioli (vedi Archivio per l’antrop. etnol. v. XXXVIII, fasc. 3, 1908) […] la mia offerta di rappresentare anche a mie spese il mio Paese al successivo Congresso int. degli Americanisti a Messico nel 1910 non erano stati accolti dal Ministero […] nel 1916 l’Institut de France (Académie des Inscriptions et Belles Lettres) mi aveva decretato una ricompensa su la Foundation de M. le Duc de Loubat per i miei lavori di americanistica."

Bibliografia

Pagina su Giglioli di Techno-science.net

Sito del museo Pigorini di Roma

mercoledì 28 maggio 2014

Città di Messico

La capitale Città di Messico - chiamata localmente Mexico, D. F. - è conosciuta oggi come una megalopoli più grandi del mondo. È situata nella zona centro-settentrionale del distretto federale omonimo, sull'altopiano di Anahuac, a m. 2.277; sorge presso ciò che resta del lago Texcoco e poco a nord del vulcano Popocatepetl (m. 5.386). Nei secoli ha attratto milioni di persone dalle zone climaticamente più sfortunate del paese: l'ultimo censimento attendibile, quello del 2005, parla di poco meno di nove milioni di residenti nel territorio urbano, mentre la conurbazione - un enorme territorio a forma di rettangolo, con l'altezza lunga circa 50 Km e la base 35 - ospita circa venti milioni di individui. Altri dati non ufficiali più recenti raccontano di dodici milioni di cittadini e ventisette milioni di residenti nell'hinterland.
Il centro poggia sul letto di un grande lago prosciugato, del quale oggi sopravvive – a est della città – solo una parte. È il lago Texcoco, su un'isola del quale cominciò, più di 650 anni fa, la storia di quella che è annoverata fra le più antiche metropoli dell'Occidente. 
Secondo la tradizione più accreditata, infatti, è all'inizio del Trecento che gli Aztechi, popolazione guerriera proveniente dalla zona nord-occidentale del paese, arrivano nella Valle del Messico. Da notare che questo nome, oggi attribuito a tutta la nazione, in origine designava solo parte di quello che adesso è il distretto federale.
Attratti – oltre che da sete di espansione e di nuove terre – anche dal clima, praticamente primaverile tutto l'anno in virtù della quota e della prossimità dell'Equatore, si insediano sulla collina di Chapultepec (oggi sede del maggior parco della capitale messicana e allora affacciata sul grande lago Texcoco) e la fortificano, per resistere agli assalti dei molti vicini locali.
Attaccati e sconfitti, devono ancora fuggire, riparando poco lontano. Ma poi tornano verso il lago e lì - narra la tradizione - scorgono il "segno" della loro nuova patria profetizzato dal maggiore dei loro dei, Huitzilopochtli: un'aquila, simbolo del dio stesso e del sole, con un serpente nel becco, posata su una roccia vicino a un cactus (è l stemma dell'attuale Messico). È il 1325, "anno delle due case", secondo il calendario azteco. Su un'isola del lago fondano allora una città che chiamano Tenochtitlàn. Il nome significa "il luogo del grande sacerdote Tenoch", a riprova dell'importanza che la religione e i suoi ministri hanno nella vita quotidiana degli Aztechi, così come quella degli altri popoli della Mesoamerica ( e non solo di quelli). Nel 1487 l'inaugurazione del maggior tempio a piramide della città viene solennizzata - è sempre la tradizione azteca a tramandarlo - con il sacrificio di ventimila schiavi.
La città si espande rapidamente, invadendo paludi che, con un lavoro ciclopico per quei tempi, vengono bonificate. Sui terreni acquitrinosi gli Aztechi costruiscono anche strade sopraelevate, che collegano l'isola in progressiva espansione con la terraferma. Nel 1519, davanti ai circa cinquecento soldati spagnoli guidati da Cortés - che conquistano il Messico sopperendo alla scarsità numerica con la superiorità conferita da fucili e cannoni, nonché dai cavalli, sconosciuti agli indios e per loro fonte di sacro terrore - si apre una visione da fiaba. È quella di un grande lago azzurro sul quale spiccano isole verdeggianti collegate da strade sopraelevate. Isole e rive sono punteggiate di villaggi e città. La più grande di queste ultime, Tenochtitlàn, deve apparire ai conquistatori come una specie di Venezia dei Tropici, con canali, templi a piramide, case, palazzi, edifici pubblici e scuole tutti organicamente divisi fra i diversi calpulli (distretti autonomi) della città.
Gli Spagnoli, che vengono dapprima accolti pacificamente, sono temporaneamente cacciati da Tenochtitlàn da una sollevazione popolare nel corso della quale viene ucciso l'imperatore Montezuma II (dagli Spagnoli o forse dai suoi avversari locali), ma tornano alla carica nel 1521. il 15 agosto di quell'anno Cortés espugna la città e la rade al suolo, affinché gli Aztechi perdano ogni memoria del loro grande passato. Uno dei più grandi scempi della storia, e non sarà certo l'unico.
Sulle macerie, utilizzando spesso proprio le pietre dei templi e dei palazzi distrutti, gli Spagnoli cominciano a edificare una nuova città, nella quale gli indigeni imparano a convivere con i conquistatori. Ha inizio la storia di Città di Messico, non a caso definita "la prima città meticcia della storia", per la prole nata dalle relazioni fra i soldati spagnoli e le donne azteche. Vi si insedia un viceré e in breve la città, in continua espansione, diventa il centro più importante di tutte le Americhe.
Il conto della popolazione, all'arrivo di Cortés, è pressoché impossibile. Alcune stime raccontano di una popolazione di 60 mila abitanti, poi ridotti, dalle malattie portate dagli Spagnoli e nei confronti delle quali gli indios erano indifesi, a 19 mila nell'arco di soli due anni. Altre stime fanno invece ammontare addirittura a 130-300 mila gli abitanti di Tenochtitlàn. Uno dei maggiori studiosi della civiltà azteca, il francese Jacques Soustelle, sostiene che gli abitanti di Tenochtitlàn e della vicina Tlatelolco, uniti, sarebbero stati fra i 500 e i 700 mila. 
Gli scavi per la linea 12 di metropolitana di Città di Messico hanno riportato alla luce nel 1992 le tombe di epoca coloniale di centinaia di Aztechi. Uomini, donne e soprattutto bambini, che in maggioranza stringevano fra le dita rosari e crocifissi e, secondo gli archeologi, con ogni probabilità furono le prime vittime delle malattie "europee".
Nel Seicento, per eliminare i pericoli costituiti dai frequenti allagamenti, ma soprattutto per ospitare nuovi coloni e indios che abbandonano le zone più povere del paese, paludi e acquitrini vengono ulteriormente interrati. Sui modelli europei, si sviluppa una città razionalmente strutturata. Nascono palazzi, chiese, edifici pubblici che propongono un barocco coloniale, cioè un barocco europeo con apporti indigeni, che toccherà il suo massimo splendore nel secolo successivo per essere poi gradualmente soppiantato dallo stile neoclassico.
Con la proclamazione della prima repubblica messicana, nel 1824, nasce attorno alla metropoli il Distretto Federale. Poi, nel decennio 1850-1860, il movimento riformista e anticlericale di Benito Juaréz fa abbattere molti conventi di epoca coloniale. La città registra un'ulteriore espansione durante l'interludio imperiale dello sfortunato Massimiliano d'Asburgo. Nascono allora le prime colonias, le periferie urbane destinate ad accogliere quanti non trovano più posto nel centro cittadino ormai sovraffollato. Ma è con l'avvento al potere di Porfirio Dìaz che la metropoli entra nella sua prima fase di ammodernamento organico. Fra il 1876 e il 1911 si sviluppa un piano urbanistico che prende a modello la Parigi di Georges Eugéne Haussmann, l'architetto di Napoleone III. Ispirate ai boulevard e piazze parigine, nascono avenidas e plazas di stile europeo. Nei primi anni del '900, con l'introduzione dell'illuminazione elettrica nelle strade, delle prime linee tranviarie e con il il completamento della rete fognaria, la metropoli è  sostanzialmente completa.
La rivoluzione che fra il 1910 e il 1917 insanguina il Paese, per converso provoca un'ulteriore espansione della popolazione di Città di Messico. Nella capitale affluiscono torme di campesinos in fuga dalle campagne, dove si scontrano ribelli e governativi, che si illudono di trovare in città un rifugio sicuro. Di conseguenza le colonias registrano uno sviluppo spesso disordinato e, specie dopo la rivoluzione, vertiginoso. Nascono caotiche e disperate periferie dove latta e cartone sostituiscono mattoni e calce; ma anche strade eleganti di scorrimento, fiancheggiate da palazzi ispirati allo stile in voga negli Stati Uniti. E nascono anche quartieri residenziali lussuosi, come quello delle colline di Chapultepec, dove verrà collocata la residenza ufficiale del presidente della repubblica.
Lo sviluppo della città proseguirà sempre così, fino ai giorni nostri, alternando ambiziosi progetti di riqualificazione ed espansione del centro, e lasciando che le colonias si allarghino senza posa, e in totale disordine. Già nel 1930 che l'area urbana supera il traguardo del milione di abitanti.


L'atmosfera della colonia spagnola si respira ancora fra le strade e le case dei quartieri come Villa Obregòn (che ha inglobato l'antico villaggio spagnolo di San Angel, con le sue strette viuzze) e Coyoacàn (dove sorse la prima residenza ufficiale di Cortés), mentre i giardini galleggianti di Xochimilco risvegliano nella fantasia immagini dell'azteca Tenochtitlàn. Sopravvissuti a rivoluzioni urbanistiche non sempre sensate, sono testimoni di grandi monumenti storici palazzi come l'Iturbide e il Buenavista, mentre la fortezza di Chapultepec ricorda una lunga serie di decine di fortezze militari.
In ogni quartiere, parchi e giardini particolarmente degni di attenzione per ricchezza e varietà di flora (anche se la vegetazione è minacciata dagli inquinamenti sparsi nell'atmosfera). Il più grande e famoso dei parchi è senza dubbio quello di Chapultepec. I circa 400 ettari della sua superficie ospitano uno zoo, musei, orti botanici laghetti, fontane e un parco di divertimenti. Alcuni dei suoi cipressi sopravvissuti a ogni ingiuria umana e ambientale, sono mute testimonianze dei tempi degli Aztechi che li piantarono. Altro grande polmone verde, situato una quindicina di chilometri a sud-ovest del centro, è il parco nazionale del Deserto dei leoni.
Città di Messico è anche un nodo stradale, ferroviario e aereo sul quale convergono tutte le grandi linee di comunicazione nazionali e internazionali; nonché un centro culturale di grande importanza non solo nella vita del paese, ma anche in quella dell'America Latina, con musei, università, istituzioni scientifiche, biblioteche, teatri e sale da concerto di livello internazionale. Tra i musei, fonte di legittimo orgoglio cittadino è lo splendido Museo nazionale di antropologia, di fama mondiale, ricco di testimonianze incomparabili sulle varie civiltà succedutesi nel paese. 
L'elenco delle zone di maggiore interesse di Città di Messico si apre con Alameda e Zòcalo: i due grandi spazi aperti che, insieme, formano quello che ufficialmente viene designato come Centro Historico (Centro Storico). Il primo è un parco sorto sul luogo dove l'Inquisizione spagnola bruciava gli eretici. Otto isolati a est, al termine della Avenida Madero e 5 de Mayo c'è lo Zòcalo (ufficialmente "Plaza de la Constituciòn"). A sud-ovest dell'Alameda lungo il Paseo de la Reforma, la principale arteria stradale della città, si apre la Zona Rosa, il quartiere più "in" della capitale, quello degli alberghi, dei negozi, dei ristoranti e dei locali notturni di lusso. Sul lato nord dello Zòcalo, esattamente là dove gli Spagnoli guidati da Cortés videro l'orrido spettacolo dello "altare dei teschi", sul quale gli Aztechi allineavano i crani delle vittime dei sacrifici rituali, sorge la Cattedrale di Città di Messico. Nell'imponente costruzione si mescolano gli sili di diverse epoche, dal momento che i lavori, iniziati già poco dopo la Conquista, intorno al 1523, si conclusero solo nel 1813 (ma continuano ancora oggi, soprattutto per consolidare le fondamenta dell'imponente edificio che sprofondano nel sottosuolo acquitrinoso). Barocco e neoclassico si mescolano sulla facciata e nell'interno, a cinque navate e con 14 cappelle dalle elaborate decorazioni. Si possono ammirare gli stalli del coro in legno intagliato, creati da Juan de Rojas verso la fine del Seicento. Immortalata da innumerevoli fotografie, film e riprese televisive, è la scena degli indios che, per penitenza, nelle festività religiose avanzano verso la cattedrale strisciando con le ginocchia sul lastricato dell'enorme piazza.
Di qui proseguendo verso ovest, lungo il Paseo de la Reforma, si incontra il Bosque de Chapultepec il cui nome deriva dalla collina sulla quale sorge il parco: in lingua nahuatl, la lingua degli Aztechi, significa "collina delle cavallette". Lasciato il centro storico, a un paio di chilometri dallo Zòcalo, nella parte nord della città si trova Tlatelolco che un tempo era la città gemella di Tenochtitlàn e annessa nella capitale nel 1473. Oggi ha il suo cuore nella grande Plaza de las Tres Culturas. Il nome le deriva dalla presenza delle testimonianze di tre epoche diverse: le rovine del maggior tempio, la piramide di Tlatelolco. Con le pietre della piramide-tempio gli Spagnoli costruirono inizialmente un monastero francescano, che poi (nel 1609) rimpiazzarono con la chiesa dedicata a S. Giacomo, patrono della Spagna. 
Ancora a nord del centro, a 7 km dallo Zòcalo, è situata Villa Guadalupe, con l'omonima basilica dedicata alla Nostra Signora di Guadalupe, eretta nel 1533 e più volte rimaneggiata, sul luogo dove un povero contadino indio, Juan Diego, nel 1531 aveva ricevuto due apparizioni della Vergine (l'immagine della Madonna rimase impressa sul mantello del contadino). Per secoli, il reliquiario che custodiva la miracolosa immagine della Vergine fu meta di pellegrinaggi da ogni angolo del Messico. 
Nella parte sud della città una zona di grande interesse turistico è quella di San Angel, che ancora nel 1950 era un villaggio immerso nel verde della campagna. 
Nell'estremo angolo sud-orientale del Distretto Federale ( e quindi, a rigor di termini,  già più sobborgo che quartiere cittadino) si stende Xochimilco: la zona dei famosi "giardini galleggianti". Meta domenicale delle famiglie messicane, il suo nome (in lingua nahuatl) spiega tutto: "il posto dove crescono i fiori". Si tratta infatti  di giardini galleggianti che cominciarono a prendere forma nel Duecento per opera di uno dei tanti popoli indi che si stabilirono sull'allora vastissimo lago Texcoco, i Chinampaneca. Ingegnosi, presero a costruire grandi zattere di fango e canne lacustri coperte di terra, le chinampas, sulle quali piantavano fiori e l'inevitabile mais. Ancoratesi le radici al fondo lacustre, grazie all'apporto di terra sedimentaria le zattere finirono col diventare isole. E così, in un processo durato secoli, nacquero i giardini galleggianti di Xochimilco, tra i quali si snodano oggi più di 100 km di canali. Paesaggio celebrato da diversi film, è percorso da migliaia di barche, molte coloratissime, cariche di gitanti e turisti.


BIBILIOGRAFIA

Instituto Nacional de Geografía, Estadística e Informática, Mexico
Sito Parrocchia Ronco (oggi irreperibile)
Fondo Biblioteca Civica, Cartella C2, Popolo, lavoro, paesaggio, IMMAGINI ETNOGRAFICHE E ANTROPOLOGICHE: "L’altopiano[…] Anàhuac, è coronato da superbi vulcani quali il Popocatepètl, l’Ixtaccìhuatl, l’Ajusco, le cui vette nevose spiccano nel cielo cobalto[…]. [Città di Messico è] costruita come le città nordamericane a scacchi[…] la parte centrale, occidentale e sudoccidentale è la più moderna, l’altra settentrionale, orientale e sudorientale la più vecchia[…] abitai più settimane, tenendola come base del mio soggiorno e centro di partenza e d’arrivo delle mie escursioni[…] le mie visite di dovere ai due Ministeri, da cui più direttamente dipendevo[…] Vasconcelos secretario de Educacìon Publica[…] moderno e coltissimo, che alla rigenerazione dell’istruzione specialmente elementare[…] la sua opera[…] ing. Pani, secretario de Relaciones (Ministero Esteri) che ebbe per me ogni benevolenza."


Alcune immagini tratte dal Fondo Callegari

Academia de San Carlos

Veduta dall'alto con dettagli dei giardini

Universidad Americana

Il Popocateptl

lunedì 14 aprile 2014

La situazione politico-religiosa del Messico, prima durante e dopo il viaggio di Callegari

Lo studioso veronese visita più volte il Museo Nacional situato in "un'ala dell'immenso Palacio Nacional". È interessato ovviamente dai reperti meravigliosi  appartenenti alle civiltà dei Nahoa e dei Maya disposti nelle dieci sale, ma anche dai "quadri e ricordi storici importantissimi dell'epoca coloniale" e dalla parte "dedicata alle memorie di Hidalgo, Morelos, Matamoros, Guerrero, e degli altri eroi-martiri dell'indipendenza, e di Juarez"; è "il sacrario della storia moderna messicana" osservato "con un senso di riverenza", a cominciare da "l'immagine della Virgen de la Guadalupe, che fu l'orifiamma della riscossa, su la spada di Matamoros", per ricordare "gli oggetti personali di Hidalgo e Guerrero" o "la maschera mortuaria di Juarez" [1]. Callegari guarda a Benito Juàrez come alla guida suprema del Messico verso la democrazia, le riforme, lo Stato moderno e repubblicano, che fonda idealmente nella composizione ideale delle culture storiche del territorio verso i podromi dell'aspirazione alla modernità. Laureato in legge, aderente al partito liberale, si batte a metà del XIX secolo per i diritti delle popolazioni rurali della Valle di Oaxaca, suo luogo di nascita, e nel 1855 come Ministro della Giustizia limita lo strapotere delle autorità ecclesiastiche (atto che culmina nella cacciata dell'Ordine gesuitico, analogamente ai governi costituzionali di matrice laico-liberale dell'Europa della Restaurazione). Forte propugnatore di una Costituzione di matrice liberale (costituisce su di essa un governo provvisorio a Veracruz ispirato a detti principi, a modello della Repubblica Romana mazziniana), cui s'oppongono duramente le forze conservatrici del paese, come la Chiesa e la grande proprietà latifondistica, lo "indio" Juàrez diviene nel 1868 Presidente del paese in eterno dissidio politico dopo l'esperienza della reggenza imperiale di Massimiliano d'Asburgo, frutto del gioco coloniale delle grandi potenze europee, e come primo atto congela il pagamento dei debiti esteri contratti dal regime massimilianeo; lo Stato liberale cancella inoltre la legislazione punitiva nei confronti delle comunità campesine indios, che avevano costretto i nativi alla vendita delle proprietà ai ricchi possidenti, generando ribellioni spesso abbattute nel sangue. Muore per infarto nel 1872, subito esaltato a simbolo nazionale indiscutibile della lotta per la libertà e per l'affrancamanto dalle potenze straniere.

Il monumento a Benito Juarez a Oaxaca
(dal Fondo Callegari)
È una sensibilità storica moderna e legata alle vicende del Messico d'inizio XX secolo quella che pone in stretta relazione indipendenza e liberalismo come filo rosso imprescindibile dell'evoluzione del paese dall'epoca napoleonica, dalla Costituzione di Cadice del 1810 e della crisi del sistema imperiale-coloniale ispanico: la rottura del vincolo con la monarchia spagnola "coloniale", l'affrancamento politico in un regime rappresentativo della sovranità popolare (uno Stato-Nazione dal 1821 con la dittatura del generale Augustìn de Iturbìde), l'ansia immaginaria di modernità ideale e pratica sempre contrastato da una società in buona parte tradizionalista ("controrivoluzionaria") nell'immaginario e nei comportamenti. Il patriziato urbano dirige e controlla le manifestazioni popolari, anche la repubblica degli "indios" si richiama per legittimarsi alla fedeltà al Re cattolico, alla difesa delle leggi e dei costumi, al vincolo reciproco del popolo e della religione. La proclamazione dell'indipendenza dal vincolo coloniale con la Spagna spinge le elitès a definirla in punta di diritto, retoricamente, come riconoscimento degli antichi possessori della terra messicana, gli indios, recupero di una libertà come rivincita dei vinti della Conquista. Una società di paesi, villaggi rurali, città, "puebli" dotati di propri organi di governo, con gradi di autonomia differenti a seconda della "dignità" riconosciuta ad essi, governa la sua grande eterogeneità etnica attraverso la coerenza culturale dela fedeltà al Re come signore naturale dei popoli "legittimi" attraverso il cattolicesimo, tratto distintivo e unificatore. L'affrancamento dai diritti di decima alla Chiesa (secondo uno slancio squisitamente liberale e illuministico) significa anche la compravendita delle terre dei campesinos, dei diritti comuni che regolano i villaggi, la proletarizzazione rurale celere e drammatica di un intero popolo. Ecco la matrice dell'intenso secolare programma di evangelizzazione e apporto di educazione primaria anche nelle zone più impervie e tra i "popoli" del Messico storicamente più gelosi delle proprie tradizioni. Gli eroi-martiri dell'indipendenza coloniale rivendicata ad inizio XIX secolo come Hidalgo spingono alla protesta popolare (facilmente sviluppatasi per la crisi economica e sociale) attraverso appelli tradizionali, l'azione nel nome legittimo del Re o la difesa della religione travolta dagli empi principi della Rivoluzione francese. Miguel Hidalgo y Castilla è sacerdote (di basso clero) come frate Bartolomè de las Casas, che promuove una evangelizzazione pacifica fino a costituire a Guadalajara un governo di "peones", nel nome del rispetto degli indios, come però del Re come suprema autorità. Il generale Josè Maria Morelos (che ne ha seguito l'esempio con gli indios della Sierra madre meridionale) nel 1812 per proclamare l'indipendenza dalla Spagna alza una bandiera celeste e bianca, i colori dell'ultima dinastia azteca, i Montezuma. Vi è disegnata un'aquila sul cactus, iconografia azteca, ma il motto che l'accompagna è in latino, e sul disegno del ponte a tre arcate sono racchiuse le iniziali della vergine Maria. Guerrero, che porta avanti la rivolta nel sudest del paese, proclama definitivamente l'indipendenza del Messico nel 1821 e la sua nuova Costituzione, entrando trionfale a Città del Messico; l'aristocrazia creola ha già soffocato tutti i moti popolari... Al padre dela patria Hidalgo negli anni in cui Callegari visita il Messico si inaugurano monumenti e lapidi, a gara tra le amministrazioni locali.
Vi è da dire anche che Callegari frequenta un paese scosso in quegli anni da contrasti forti e violenti tra Stato e Chiesa cattolica. La Chiesa era considerata dalle autorità politiche del "partito rivoluzionario istituzionale" come centro sovranazionale conservatore, ostacolo quindi alle riforme e ciò aveva sotto la presidenza di Porfirio Diaz nel 1914 leggi antiecclesiastiche. Negli anni '20 si tengono congressi sociali cattolici che organizzano iniziative in campo sociale (a Puebla, a Morella, a Guadalajara, e a Oaxaca, soprattutto la Sociedad de Obreros Católicos de la Sagrada Famiglia y Nuestra Señora de Guadalupe e l'Associación de los Operarios Guadalupanos, appoggiate da riviste come El Operaio guadalupano e Restauración e dall'attività del Partido Catòlico Nacional): ci si interessava dell'istruzione scolastica e dell'analfabetismo dilagante nelle campagne, della situazione dei lavoratori e del reddito familiare basso, dell'aiuto agli anziani bisognosi, della gestione dei luoghi di cura. Si suggeriva di istituire scuole serali per i lavoratori e l'esenzione delle tasse scolastiche per consentire alle famiglie disagiate l'accesso dei propri figli alla scuola. Per far fronte alla disoccupazione o al reddito modesto si prospettava, invece, di istituire cooperative di consumo e piccole proprietà terriere. Si chiedeva infine ai cattolici più ricchi di finanziare una parte delle spese per la gestione dei luoghi di cura.

Lo Stato, impegnato in una lunga e controversa elaborazione di riforma agraria che avrebbe mirato all'abolizione del latifondo anche ecclesiastico e alla formazione di una classe di piccola-media proprietà rurale in funzione della modernizzazione economica del paese, non prendeva in considerazione queste proposte (la tensione con la proprietà ecclesiastica è datata in realtà dalla fine del XIX secolo, al tempo delle riforme liberali di Porfirio Dìaz). Nel 1920 i generali Plutarco Elías Calles, Alvaro Obregón e Adolfo de la Huerta organizzano la "ribellione" di Agua Prieta e depongono il presidente Carranza, ucciso poi durante un tentativo di fuga nel piccolo villaggio di Tlaxcalantongo. Sino alla fine di quell'anno il Paese è retto da una giunta provvisoria guidata da De la Huerta. In seguito Alvaro Obregón prende le redini del Messico assumendo la presidenza.

Siamo all'inizio di una svolta decisa anticlericale quando Callegari visita il Messico. Nel 1924 il Paese passerà sotto la guida del generale Plutarco Elías Calles: il nuovo presidente ordina a tutti i governatori degli Stati federali messicani di emanare decreti volti a far applicare il dettato costituzionale in materia di disciplina religiosa. Molti governatori mettono subito in pratica le raccomandazioni presidenziali. Nello Stato del Tabasco, ad esempio, il governatore Tomás Garrido Canabal promulgherà una legge in cui si richiede per l'esercizio del ministero sacerdotale di una serie di requisiti: essere tabascheno di nascita, avere più di 40 anni, aver studiato in scuole statali, non aver subito procedimenti giudiziari, essere sposato. Nel 1926 un'ordinanza presidenziale punirà con un ammenda e con la prigione chi facesse suonare le campane, chi distribuisse o conservasse santini religiosi, chi indossasse medagliette con figure sacre!
Callegari conosce e prende in considerazione nelle sue analisi culturali e politiche sul pese latinoamericano un mito religioso popolare diffuso e sentito: all'origine dell'identità culturale e nazionale del Messico c'è la Fede, materializzata nell'apparizione della Vergine di Gudadalupe (divenuta poi Patrona del Messico e delle Americhe). All'alba del 9 dicembre del 1531, sulla collina di Tepeyac (presso Città di Messico), una Madonna di pelle scura apparve ad un indio, Juan Diego di Cuauhtlatóhuac, parlando il nuáhatl, il dialetto della regione. Questo evento, soprattutto l'uso di una lingua diversa da quella dei popoli dominatori, ma anche il colore "meticcio" della pelle della Madonna (o il segno sulla tilma, il mantello, della benedizione divina ai popoli del Terzo Mondo, le piume che lo ornano, la cintura viola simbolo per gli aztechi di donna gravida), divennero motivo per credere che Dio stesse dalla parte degli indios. La Madonna era venuta per dar fede al Nuovo Mondo. Gli spagnoli non erano giunti per caso, ma diventavano semplici strumenti della volontà divina.
San Juan Diego di Cuauhtlòuhac (immagine tratta
dal Blog Hagiopedia di Cristina Huete Garcia)

Cuauhtlatóhuac, nato a Cuauhtitlán, piccolo villaggio pochi chilometri a nord di Tenochtitlán nel 1474, è un macehual, un piccolo coltivatore diretto, un uomo modesto nella società azteca complessa e fortemente gerarchizzata. Nel 1524, all'età di cinquant'anni, viene battezzato con il nome di Juan Diego, insieme con la moglie Malintzin, che prende a sua volta il nome di María Lucía. Rimasto vedovo quattro anni più tardi, divide il suo tempo fra il lavoro dei campi e le pratiche della religione cristiana, fra cui l'ascolto della catechesi impartita agli indigeni neoconvertiti dai missionari spagnoli. La Vergine di Guadalupe era venuta anche per rimproverare i metodi d'alcuni dominatori europei, per questo si negò loro e apparve ad un semplice contadino indio. Le apparizioni furono cinque ed ebbero luogo fra il 9 e il 12 dicembre del 1531; Juan non fu creduto, in primis dal vescovo che inviò servitori in incognito a garantire sull'autenticità della confessione. Fu nella quinta apparizione che, con ogni probabilità, la Signora si presentò come La sempre Vergine santa Maria Coatlaxopeuh (la pronuncia in nuáhatl è "quatlasupe"), che foneticamente nella lingua spagnola si avvicina a "Guadalupe". Il significato di Coatlaxopeuh è "Colei che calpesta il serpente". Nella figura impressa sulla tilma di Juan Diego, si vede infatti la Madonna che calpesta un serpente. Gli spagnoli cercarono subito di appropriarsi dell'evento, per questo dedicarono l'apparizione alla Guadalupe dell'Estremadura, una Vergine adorata anche dal conquistatore Hernán Cortés. I due documenti in lingua náhuatl del secolo XVI che ci riferiscono dell'apparizione (l'Inin huey tlamahuizoltzin, "Questa è la gran meraviglia", del 1545, e il Nican mopohua, "Qui si racconta", del 1555) sono attribuiti al sacerdote spagnolo Juan González, interprete del primo vescovo di Città di Messico, e al nobile azteco Antonio Valeriano, allievo del collegio francescano di Santa Cruz di Tlatelolco: "subito sul mantello si disegnò e si manifestò alla vista di tutti l'amata Immagine della perfetta Vergine Santa Maria, Madre di Dio, nella forma e figura in cui la vediamo oggi... così come è conservata nella sua amata casa, nel tempio eretto ai piedi del Tepeyac e che invochiamo con il titolo di Guadalupe". Nel Nican moctepana, "Qui si riferiscono", scritto agli inizi del secolo XVII dal nobile messicano Fernando de Alva Ixtlilxóchitl, discendente dei re di Texcoco e dei signori di Teotihuacán, si narrano i miracoli compiuti su intercessione della Virgen, cui ben presto la cappella votiva aveva lasciato spazio all'edificazione di una cattedrale. In processione la sacra immagine era trasportata su una ricchissima portantina adornata di piume e sormontata da un baldacchino, dietro alla quale venivano il vescovo con tutto il clero, la nobiltà spagnola e azteca e un'incredibile folla di fedeli. Il popolo intonava canti, spagnoli e náhuatl, in onore della Vergine, dirigendosi verso le alture di Tepeyac. Sulle acque del lago, a bordo di canoe, gruppi di danzatori indigeni vestiti da guerrieri esternavano la loro gioia mimando scene di battaglia con archi e frecce. La collina del Tepeyac era stata, in epoca precolombiana, sede di un tempio di Tonantzín, una dea azteca il cui nome significa "nostra venerata madre", tempio distrutto durante la conquista. Dopo le apparizioni della Madonna di Guadalupe e l'edificazione dell'ermita, il luogo è definitivamente consacrato al culto cristiano della Vergine Maria; ma gli indios la chiameranno ancora Tonantzín, prendendo spunto dai Predicatori che chiamano col nome di Tonantzín Nostra Signora, la Madre di Dio. Nel secolo XVII, all'inizio del processo di istituzione del culto presso la Santa Sede, le testimonianze rilevate dall'Uffizio sono di sette indios e un meticcio; la Chiesa guarda con favore alla devozione, nella gran parte degli ordini religiosi, la asseconda, nel 1667 Clemente IX istituisce la festa della Virgen de Guadalupe e sancisce lo sviluppo del culto oltre il livello locale. Nel 1736 la Nuova Spagna è devastata da un'epidemia di matlazahuatl - così gli indios chiamano la febbre tifoidea - che in diciotto mesi provoca più di due milioni di morti. L'arcivescovo di Città di Messico ordina la traslazione dell'immagine dal santuario alla cattedrale, e l'epidemia si attenua secondo la leggenda; nel 1737, quando avviene la solenne proclamazione della Vergine Maria, sotto il titolo di Guadalupe, patrona principale di Città di Messico, cessa. Nel 1887 Papa Leone XIII autorizza l'incoronazione dell'immagine di Guadalupe, celebrata nel 1895, nel corso di una fastosissima cerimonia, dall'arcivescovo di Città di Messico, mons. Próspero María Alarcón y de la Barquera.
L'apparizione ebbe una grande importanza dal punto di vista sincretistico; essa divenne nei secoli alimentata dal culto popolare la più viva rappresentazione dell'identità religiosa della Nazione messicana che stava nascendo dalla fusione di due grandi civiltà, quella spagnola e quella azteca. Tant'è vero che nel 1810, gli slogan "Viva la Vergine di Guadalupe" o "Viva la Morenita" furono gridati dai rivoluzionari messicani della regione di Guanajauto, che, guidati dal parroco di Dolores – don Miguel Hidalgo y Costilla – si opposero ai dominatori europei: Hidalgo proclama la fine delle diseguaglianze etniche, la distribuzione della terra agli indios nativi, l'indipendenza politica dalla Spagna. I dominatori messicani del XIX secolo confermano a più riprese l'istituzione di un Ordine cavalleresco della Guadalupe e della festa popolare religiosa "nazionale" della Virgen, Massimiliano d'Asburgo omaggia l'immagine con la moglie Carlotta. È nel 1917, dopo le traversie della rivoluzione zapatista, la nuova Costituzione anticlericale, che il culto viene a costituire un intralcio alla modernizzazione del paese: nel 1921 una bomba nascosta fra i fiori ai piedi dell'immagine danneggia la basilica, ma lascia intatta la Virgen; l'attentatore scoperto è lasciato inpunito dal presidente municipale, la folla si riversa a calebrare ringraziamenti, dal governo qualcuno insinua nel tragico fatto un complotto cattolico; gli anni del viaggio di Callegari sono il preludio allo scontro tra i campesinos di fede e i soldati del presidente Calles che vuole piegare alla Chiesa ad un concordato fortemente laicista e guarda con sospetto la devozione mariana... Molte immagini della Virgen rimangono nel repertorio iconografico che Callegari ha lasciato alla Biblioteca Civica di Verona [2].

[1] CALLEGARI G. V., La mia escursione...  cit., p. 271; siti consultati: www.gesuiti.it/popoli/anno2003/11/ar031102.htm
www.rbvex.it/ameripag/messico.html
FIC, BCVR, Cartella C1, facciata delPalacio Nacional (nel retro annotato “è stato recentemente costruito”), entrada de Palacio Nacional con la storica campana.
[2] FIC, BCVR, Cartella C1, 15 cartoline postali e 5 stampe del santuario dellaVirgen de Guadalupe, la catedral, el palacio de ceistord; interno,  la facciata della Chiesa, veduta d’essa dal basso, l’altare all’interno della cattedrale, il colonnato della navata, fedeli di spalle in processione, la canonica con “Guadalupana de Hidalgo y pila en que fue bautizado” con ex-voto e santini della Virgen; stampa di una madonna disegnata in un dipinto di fattura contemporanea, attorniata da ex voto in seconda stampa, attorniata di votivi in una terza (Guadalupe? Nel retro “T. C. I. Cart. n. 5009”), El Pocito de la Virgen de Guadalupe (nel retro “T. C. I. Cart. n. 5009”), facciata principale della cappella in stile coloniale, la Villa de Guadalupe, il Cerro (la processione); DANTE GUERRA G., La Madonna di Guadalupe: un caso di "inculturazione" miracolosa, ‘Cristianità’ n. 205-206, 1992; VANNONI G., Sulla "conquista" dell’America del sud, ivi n. 10, 1975; VELASQUEZ FELICIANO P., La aparición de Santa María de Guadalupe, Città di Messico 1981, pp. 146-161, 184-221, 299-312, 352-353; PERFETTI C., Guadalupe. La tilma della Morenita, Messico 1931; DE OLIVEIRA CORREA P., Tribalismo indígena, ideal comuno-misionário para o Brasil no século XXI, San Paolo 1977; CAMARGO R., La Madonna di Guadalupe, ‘Studi Cattolici’, a. XXVI, n. 254-255, aprile-maggio 1982, pp. 262-267; DA SAHAGUN B., Historia general de las cosas de la Nueva España, l. XI, cap. XII (sec. XVII); JUNCO A., El milagro de las rosas, Città di Messico 1969, pp. 14-16; MEYER J., La christiade. L’Église, l’État et le Peuple dans la Révolution Mexicaine (1926-1929), Parigi 1975.

venerdì 14 marzo 2014

L'arrivo a Monte Albàn


Lo scopo principale del viaggio, almeno nelle intenzioni di Callegari, è di elaborare contatti con i massimi studiosi messicani di anrtropologia, etnologia ed archeologia. Il Museo nacional costituisce la massima autorità in materia, anche a livello internazionale: il Direttore "Castillo-Ledòn, conosciuto anche come squisito poeta" è coadiuvato da "Nicolas Leòn, il più grande antropologo", da "Miguel Mendizàbal per l'etnografia aborigena, Ramòn Mena per l'archeologia…"

Ramòn Mena è l'archeologo che determina l'autenticità della disposizione e orientamento della fortezza di Monte Albàn.  
Ed è Nicolas Leòn, l'antropologo già a capo del Dipartimento di Antropologia Fisica del Museo Nacional di cui abbiamo accennato, che lo convince a visitare un manufatto notevole dell'architettura amerinda, di scoperta recente per l'epoca: "non lontano da Mitla a circa 3 Km. un'antica fortezza costruita dagli indiani di oltre 2 Km. con salienti e rientranti e muraglie doppie e porte costruite con tutti i dettami della castramentazione; il Dr. Leòn che ne fece uno studio, sostiene che non era certo inferiore a quelle costruite in Europa nella stessa epoca; sono convinto io pure" [1]. Nel 1932 Alfonso Caso scoprirà nel sito la tomba di un dignitario mixteco ricca di straordinari ornamenti d'oro: è la fortezza di Monte Albàn, un vero e proprio osservatorio astronomico precolombiano, un sito già dell'epoca olmeca (I° millennio a. C.). I lavori di ripristino e restauro del manufatto architettonico proseguono alle prime fase e a rilento, stando anche ad una annotazione manoscritta di qualche anno dopo da parte di Conzatti nel retro di una cartolina postale, presente nel Fondo inedito della Biblioteca Civica. Leòn è il ricercatore che sosterrà negli anni '30 la tesi affascinante della "negritudine" dei primi abitatori americani, ripresa poi da un celebre antropologo equadoregno come J. A. Villacorta, che permetterà di costruire comparazioni e parallelismi con aspetti tecnico e rituali del periodo antico della civiltà Nubiana e di teorizzare la provenienza comune dell'uomo "africano" (del Ghana, del Senegal, del Mali, della parte occidentale dell'Africa Nera) e "americano". Attorno all'800-400 a. C. gli Olmechi hanno lasciato tracce del proprio culto del "giaguaro" nelle steli litiche funerarie e nelle necropoli sotterranee, che lascieranno notevoli influenze nelle successive dominazioni mixteche e zapoteche. Monte Albàn è la fortezza che domina la Valle di Oaxaca e si consolida durante la prima definizione di strutture permanenti per il culto pubblico edificate dalla civiltà zapoteca  attorno al 600 a. C. (ci restano glifi di calendario): una grande piazza, coperta di edifici lungo tutta l'area, un enorme muro difensivo lungo le direttrici Nord ed Est. Nel 300 a. C. è abitato da circa 5.000 persone; nel 200 d. C. la piattaforma settentrionale è allargata, il sito è fondamentale nel sistema di relazioni pacifiche dell'area centrale dell'altopiano, ci restano urne funerarie, dipinti murali e ceramiche di quel periodo.

[1] CALLEGARI G. V., La mia escursione… cit., p. 285; BCVR, FIC, Cartella 4:18 post card, 21 fotografie delle rovine archeologiche di Montealban (o Monte Alban),  Ruinas de Montealban, Oaxaca,  vedute generali, particolari di stele, stele e trabeazioni di tombe entro cortile (anche fotografie di stele entro un museo e in esterno); entrate di tombe ipogee nella foresta, sulla prima nel retro "Oaxaca, 7/1/35 Dottor carissimo… i lavori di Montealban progrediscono discretamente, ma non però con la prontezza che sarebbe a desiderare, stante la mancanza di quattrini, unica merce capace di muover tutto in questa misera valle di Cortés. Adesso è pressappoco un anno che i lavori lassù si sono interrotti… Anche al Cerro Tuorer, ai piedi del quale si trova addossata la città di Oaxaca, si pensa di costruire uno spazio di teatro aperto il cui bozzetto fu presentato pochi giorni fa da un nostro compatriota, il caro Francesco D'Amico"… è una cartolina di Conzatti; Montealban, Dios Tigre en su tempio;  tombe di Cuilapan, una di interno, Mixtec, Xoxocotlan iscrizioni Zapotek; particolari interni, Mounds;  campesinos e sovrintendenti tra i resti archeologici ipogei, muri, brecce di Cuilapan (a 10 kilometri da Oaxaca City, vicino ad un convento domenicano); su una  "zapotek"; su altra "The Cave of the Toad, Xoxocotlan"; in altra ancora "Hacienta Blanca" su una "Etla"; siti funebri ipogei di Jalpam, Oaxaca; Tomba Atatlan, Stato di Puebla (Oaxaca);  statuette umane o fittili animali in terracotta zapoteke civilisation, State of Oaxaca, Mexico; Teotitlan, Tlacolula (una valle a 32 kilometri dalla città di Oaxaca), fotografie di stele e bassorilievi delle scalinate del tempio; Teotitlan, Tlacolula Jaguar,  stele e bassorilievi delle scalinate del tempio, particolari e soggettive delle decorazioni murarie; stele istoriata con decorazioni fittili e riproduzioni d'animali sacri, Dios Tigre Montealban; sito consigliato: http://www.metmuseum.org/toah/hd/alban/hd_alban.htm .
Panorama di Monte Albàn


Tombe di Cullapan

Dios Tigres, bassorilievo su tempio