Nel 1841 un’opera in"titolata "Incidents of Travel in Central America" divenne inopinatamente un best-seller, e portò al successo il suo autore, un giovane avvocato di New York di nome John Lloyd Stephens. […]Nell’inverno del 1839, insieme all’artista inglese Fredrick Catherwood, arrivò in una radura della folta foresta tropicale e scorse l’antica città Maya di Copàn. La vegetazione nascondeva gran parte degli edifici e rendeva indistinguibili quelli ancora fagocitati dalla giungla. Ma Stephens comprese subito di trovarsi di fronte alla capitale di un impero. Prima emersero degli immensi blocchi di pietra ed una rampa di scale che conduceva ad una terrazza. Subito dopo, una statua dal volto inespressivo con gli occhi chiusi, un totem gigantesco, alto più del doppio di un uomo e, ancora, decorazioni così magnificamente intarsiate da ricordare le statue di Buddha dell’India. […]
Il libro di Stephens e le illustrazioni di Catherwood, ispirarono un abate francese, Charles Etienne Brasseur de Bourbourg, che si volle recare di persona ad ammirare quei luoghi favolosi. In Guatemala trovò il testo sacro degli indios Quichè intitolato "Popol Vuh", che tradusse in francese e diede alle stampe nel 1864. Si tratta dell’unico testo sacro Maya giunto sino a noi, e seppure in termini ermetici, spalanca scenari non immaginati. Proprio come i testi degli gnostici medio-orientali, il "Popol Vuh", che i Maya chiamavano "la luce che venne dal lato del mare", parla di una lontanissima età dell’oro, e si dilunga nel racconto dei "Primi Uomini" che abitavano quel tempo:
"Dotati di intelligenza, vedevano e potevano vedere istantaneamente lontano; riuscivano a vedere, riuscivano a sapere tutto ciò che c’è nel mondo."
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Pittura Maya raffigurante la creazione del mondo |
Nel fondo inedito della Biblioteca Civica di Verona sono i documenti che manifestano la puntigliosa curiosità verso questi argomenti: in una cartella intitolata "Popol-Vuh preceduto da uno studio introduttivo" sono numerosi dattiloscritti sul "Libro nazionale del Popol Vuh... questo importante primo documento storico, letterario, religioso del popolo Maya-Quichè", insieme ad altri, chiosati da appunti e glosse in penna, numerati, divisi in capitoli, spesso annotati in margine da correzioni (i riferimenti portano ad intendere che si tratti della trascrizione in italiano del testo del Villacorta); vi sono anche manoscritti, come la tavola del "calendario siderale Quichè"; un quaderno che contiene estremi bibliografici ("Bibliografia del Popol Vuh"), un elenco di divinità amerinde inserite in uno schema comparativo con le scadenze temporali del calendario (5) ed altro.
Il capillare lavoro di raccolta documentaria non darà luogo ad originali pubblicazioni, ma resterà a testimonianza del percorso intellettuale di uno studioso di provincia affascinato dai misteri cosmogonici, dalla loro rappresentazione estetica in forme atipiche e singolari, dall’analisi dei fenomeni "celesti" come terreno di esplorazione del mistero dell’Essere.
(1) GIOVANNETTI E., La Bibbia dei Maya, Giornale d’Italia, 18/5/1939
(2) FIUMI L., Una nobile figura di scienziato italiano, L’Ambrosiano, 21/8/1941
(3) PROCACCIO A., Lo scienziato veronese che viaggiò le terre inesplorate alla ricerca delle più antiche civiltà, Il Gazzettino, 19/1/1942
(4) VILLACORTA A. C. J. e RODAS F., Manuscrito de Chichicastenango (Popol Buj), Città del Guatemala 1927.
(5) Bib. Civ. Verona, Fondo Call. In, cartella, Popol - Vuh preceduto da uno studio introduttivo, senza data, contiene: 125 dattiloscritti; manoscritto, dall’ed. Villacorta Roda Popol Vuh tradotto da G. V. Callegari; 116 dattiloscritti, Il Popol Vuh sua trascendenza e sua chiave; 28 dattiloscritti, I Quichè; una tavola, calendario siderale Quichè; quaderno di appunti manoscritti, Bibliografia del Popol Vuh; manoscritti, un elenco di divinità inserite in uno schema comparativo.